lunedì 24 dicembre 2007

backside to the future /4: x-mas edition

Ricordo distintamente l'ingresso della birra nella vita della Comitiva del Gabbiano.
Era la notte di Natale, festeggiavamo a casa di De Leonardis (aka De Murtaccis), e per la prima volta un carico di birra Raffo ci rese tutti un pò brilli. Avevamo 16 anni, quindi non eravamo granché precoci.

Io e Tiziano tornammo a piedi verso il garage in cui tenevo il mio Sì Piaggio (aka "il Gigarino"), con l'intenzione di cazzeggiare un pò in giro.
Quell'anno l'amministrazione di Grottaglie aveva avuto pretese di artisticità: sul corso principale alcuni grossi tubi di cemento dovevano rappresentare le grotte e dei cosi di rame attorcigliati dovevano essere i personaggi del presepe: sotto ognuno di essi, per evitare fraintendimenti, una targhetta diceva: "San Giuseppe", "Madonna", "Pastorello", ecc.
Io mi avvicinai a San Giuseppe e lo sfiorai con un dito. San Giuseppe si accasciò al suolo senza un lamento. Feci per rimetterlo a posto, ma lui non volle darmi retta. Ridevamo, intanto. Una voce bassa e senza corpo si materializzò all'improvviso: "Pezzo di merda!". Il divino, pensai. "Ti faccio un culo così!". Tiziano capì prima di me che si trattava del custode. "Esagerato!" urlò, e ce ne andammo ridendo, mentre la voce ancora disincarnata continuava a insultarmi.
Il sì della piaggio, lo dico per chi non ne ha mai visto uno, era un mezzo progettato per circolare di giorno e in città: il faro aveva due posizioni, e quella spacciata per "abbaglianti" illuminava la strada per un massimo di cinque metri.
Io e Tiziano si decise quindi di andare a fare colazione a Monteiasi, a otto km da Grottaglie. Erano le tre e mezza di notte, era scesa una nebbia che rendeva impossibile vedere a più di due metri e la cosa ci sembrava stupida anche se eravamo ubriachi. Però la facemmo, ridendo tutto il tempo perché dovevamo fare la strada a memoria., ma era una strada di campagna, e non c'era nessuno, e a parte cadere nella fogna a cielo aperto che costeggiava la strada, non poteva capitarci niente di male.
A Monteiasi di notevole c'erano solo le due croci al neon a illuminare le due chiese principali, una blu, più gotica, e una verde che sembrava rubata a una farmacia. Un unico bar aperto, di fronte a cui ci fermammo, con un barista assonnato e un omino che quella notte si era scontrato davvero con troppi bicchieri.
"Magari torniamo a Grottaglie", dissi a Tiziano.
Non smettemo di ridere mai neanche al ritorno.
Forse mi sbaglio, ma quello fu un Natale perfetto.
Auguri.

venerdì 21 dicembre 2007

J. K. Rowlings "Harry Potter e i doni della morte"

*
Con l'ultimo capitolo della saga di Harry Potter, la Rowling si risolleva solo parzialmente dal nulla narrativo e stilistico in cui era caduta con il "Principe Mezzosangue". Ci riesce innanzitutto perché per la prima volta non ambienta la storia ad Hogwarts, e l'assenza del calendario scolastico toglie molta della pesantezza che caratterizzava gli ultimi due episodi. Inoltre, riesce a riprendere alcuni degli indizi lasciati nel corso dei precedenti volumi in maniera abbastanza convincente (la psicologia di Snape, unico personaggio "adulto" dell'intera saga, ma anche altri particolari, come l'origine della proibizione di nominare Voldemort), e cerca di spiegare i punti oscuri lasciati indietro. Il vero problema della Rowling è però che non riesce mai ad evocare ciò di cui parla, nè a condurre il lettore (e nemmeno i suoi personaggi, a dire il vero) a intuire il disegno complessivo, il mondo e le storie che vorrebbe raccontare: la Rowling è costretta così ad illustrare tutto questo attraverso conversazioni estenuanti, o attraverso altri medium (gli articoli di giornale, il libro di fiabe che Dumbledore regala ad Hermione, etc.). Si tratta di una facilitazione al lettore pigro che rende le idee di fondo del libro (i doni della morte, l'ultimo horcrux di Voldemort, la differenza tra Harry e lo stesso Voldemort) simili a pezze messe lì per tappare i buchi della storia, che riduce gli snodi narrativi a botte di culo (tutta la ricerca e distruzione degli Horcruxes, soprattutto nell'episodio dei Gringott Vauls) e che toglie qualsiasi fascino ai flashback: l'esempio principe è l'amicizia tra il giovane Dumbledore e il mago Crucco, che non riesce neanche ad avere il pathos dell'amicizia adolescenziale, figuriamoci di quella maledetta o omoerotica.
Si salva la scena ambientata a casa dei Malfoy, ma la chiusura cristologica (anche se la pietà composta da Hagrid che fa la Madonna e Harry che fa il Cristo a dire il vero potrebbe essere considerata una trovata divertente) è pessima, così come la conversazione onirica tra Harry - che continua imperterrito a non capire un cazzo come nel corso di tutta la seria - e Dumbledore.
In pratica, la Rowling riesce a dissipare il patrimonio di simpatia creato dai suoi primi quattro libri (non capolavori, ma piacevoli sì, e anche intelligenti) con gli ultimi due (il quinto è già brutto, ma si salva, nel mio cuore, perché ce la fa ancora almeno ad essere divertente), non riuscendo a dire niente di più sui suoi personaggi di quanto non avesse fatto con i primi, non riuscendo nè a complicarli nè a farli crescere sul serio, semmai irrigindendoli nel loro clichè, e oltretutto creando per loro una storia e un universo farraginoso in cui muoversi.
L'unica speranza per leggere un Harry Potter bello credo sia rimasta la fanfiction, ma anche lì, a scavare per bene ci vuole tempo e la fine della saga reale mi ha fatto davvero passare qualsiasi tipo di voglia.

*(Il libro l'ho letto in inglese a settembre, ma vedere le locandine in giro in questi giorni mi ha fatto venire voglia di scriverci su, anche pensando a quanta gente lo comprerà, e a quanti ne rimarrano profondamente delusi....)

giovedì 20 dicembre 2007

Nelle orecchie, sotto Natale.

In questo dicembre in cui sto ascoltando molta musica (fissare il pc tentando di scrivere ha i suoi pregi), due dischi hanno preteso la mia attenzione più spesso di altri, e si sono fatti canticchiare nelle occasioni più sconvenienti (ieri al pranzo di natale dell'Istituto me ne sono uscito canticchiando "E lei venne!" ).
Il primo è quello di Elvis Perkins (forse l'unico cantante sfigato quanto E degli Eels), "Ash Wednesday": canzone americana classica che non ha paura di somigliare a Dylan e Neil Young, ma più simile, per la voce di Perkins e per certe progressioni nelle canzoni, per certi crescendo, alle cose migliori dei Decemberists.
Insomma, niente di che, forse, ma artigianato di altissima qualità, di quello che riscalda il cuore, e con testi che man mano che procedono gli ascolti, mi sembrano addirittura belli.
Il secondo è un disco italiano, de "Il teatro degli orrori" (il bellissimo titolo del disco è Dell'Impero delle tenebre): che è musicalmente un buffo e a volte mal riuscito ibrido tra i Jesus Lizard, il rock alla One Dimensional Man (da cui provengono alcuni dei componenti) e la canzone italiana. Tra l'altro, non ho capito se il gruppo casca nel pop italiano di sua spontanea volontà o se ci scivola inavvertitamente di tanto in tanto: io comunque trovo questi slittamenti la cosa migliore del disco, capaci di riabilitare passaggi non convincenti o noiosi. Lo stesso vale per i testi, che esibiscono a volte ingenuità disarmanti, e che allo stesso modo, magari subito dopo, imbroccano la frase rivelatrice e musicale (quella da canticchiare nel momento sbagliato, per intenderci). "E lei venne!" e "Il turbamento della gelosia" (cosa c'è di più pop italiano di quest'ultimo titolo?) sono gli esempi migliori in questo senso, e se avete abbastanza coraggio, potete anche ascoltarle sul loro myspace (e sto facendo violenza a molte mie convinzioni per consigliare di visitare quel luogo orribile).

martedì 18 dicembre 2007

reclame


Un mio caro amico, Davide Fanigliulo, ha pubblicato questo libro su Lulu, e ci tiene anche un blog su.
Io e lui siamo filosoficamente e stilisticamente agli antipodi, ma nonostante questo ci ho trovato cose belle e interessanti. Se vi va, fateci un giro. (O magari comprategli il libro)

lunedì 17 dicembre 2007

Paranoid Park (Gus Van Sant, 2007)


Un paio d'anni fa ho fatto l'incubo forse peggiore della mia vita.
In pratica ho sognato che nella vita reale, in un periodo ben preciso, avevo causato la morte di qualcuno: non intenzionalmente, certo, ma colpevolmente sì. Siccome nessuno se n'era accorto, io avevo fatto finta di niente prima di tutto con il mondo e poi con me stesso, rimuovendo, dandomi giustificazioni e scusanti (poteva capitare a chiunque, etc.), riuscendo infine a farmelo passare totalmente dalla mente. Il sogno era il ricordo che riemergeva nonostante la rimozione forzata, e mi costringeva a fare i conti con quel che avevo fatto. Ora: la cosa terribile è che io mi sono svegliato convinto che il sogno fosse davvero un ricordo che riaffiorava, e l'impressione me la sono tolta di dosso solo dopo un paio di settimane in cui ho preso agende, calendari, taccuini e ho analizzato i miei due anni di vita precedenti alla ricerca di un buco in cui quella cosa poteva essere successa sul serio. Forse è stata l'unica volta che sono stato vicino alla psicosi (e tutto per colpa di un panino coi wurstel e crauti, oltretutto).
Il film di Gus Van Sant mi ha colpito innanzitutto perché la situazione del ragazzino è esattamente la stessa: e la sua risposta, così apparentemente indifferente, e i metodi che usa per schiacciare il ricordo e il senso di colpa sono gli stessi di cui io mi accusavo nel mio sogno, e che probabilmente sono quelli a cui farei ricorso in una situazione del genere. Il film di Van Sant ha anche altri pregi, primo di tutto una qualità delle inquadrature e della fotografia eccezionale, dialoghi sempre credibili (che è la cosa più difficile) e personaggi perfettamente delineati e non scontati anche se hanno uno spazio di pochi minuti nella narrazione. E vivaddio non ha una morale, anche se i critici gliela troveranno.
E la colonna sonora poi, è magnifica: soprattutto negli abbinamenti che Van Sant crea con le scene di skating al rallentatore che attraversano tutto il fim, interrompendo il racconto.

domenica 16 dicembre 2007

Maria Luisa

(L'altra sera, proprio mentre l'otite prendeva possesso delle mie orecchie e mi rendeva simpatico e partecipativo come una statua di sale che si indica l'orecchio, un amico di un mio amico raccontava questa cosa che gli era appena successa in treno, e che lì per lì è stata l'unica capace di farmi ridere davvero in quella serata altrimenti dolorosissima)

Scena: interno notte, scompartimento a sei posti di un euro city. Seduto nello scompartimento un ragazzo che legge. Avrà 26 o 27 anni, capelli lunghi quanto può averli un bravo ragazzo, e da bravo ragazzo è vestito: jeans scuri buoni, clarks, maglione Ralph Lauren.
Entra una signora: ha perlomeno 60 anni, ma si può anche dire che li porta bene. C'è però qualcosa di stonato nel suo aspetto: sarà l'eleganza un pò troppo aggressiva, la scollatura francamente evitabile, o i capelli biondi permanentati come neanche negli anni 80; c'è comunque qualcosa che fa inarcare il sopracciglio al ragazzo seduto.
Anche la signora si mette a leggere. Dopo un pò però rompe il ghiaccio e chiede al ragazzo cosa faccia nella vita. Sentita la risposta (un dottorato di ricerca in lettere), si esalta e inizia a raccontare che anche lei è iscritta all'università, che è fuori corso di dieci anni (sic) e che le hanno bocciato la tesi perché lei voleva scriverne una meno accademica e questo al suo relatore non piace. Insomma: la vecchia attacca un bottone di venti minuti in cui racconta del Cristo nella sua tesi al ragazzo, che dal canto suo spera solo di poter rimettersi a leggere al più presto.
Finalmente la signora si cheta e si rimette a leggere anche lei.
Dopo una mezz'oretta, ha finalmente luogo questa conversazione:

Signora (all'improvviso): Scusa... posso farti una sega?
Giovine (tra sè) Cosa? avrò capito male, avrò detto "sera". (rivolto alla signora) Non ho capito, mi scusi.
Signora: ti posso fare una sega?
Giovine (imbarazzato): ma... in che senso?
Signora: posso masturbarti?
Giovine (ancora più imbarazzato, dice la prima cosa che gli viene in mente): ma... ora sto leggendo, non mi sembra il caso.
Signora: va bene, allora quando vuoi avvisami tu.

I quaranta minuti di viaggio passano con il giovine immerso nel suo libro che non osa guardare la vecchia, eppure sento il suo sguardo su di sè, interrogativo, e teme che lei glielo richieda, da un momento all'altro. finalmente il viaggio del giovine finisce. Mentre si mette il cappotto la signora gli si avvicina e gli tende la mano. Lui ha un fremito, ma gliela stringe:

Signora: Maria Luisa, piacere.

sabato 15 dicembre 2007

jella!


non me ne voglia, il professor Gualdoni (che neanche so chi sia), ma questo cartello, affisso per le strade di milano, mi ha fatto troppo ridere. (ho controllato: è un insigne accademico, quindi la diceria è simile a quella che circola intorno ad altri "innominabili" dell'università italiana).

memento estivo


la foto l'ho fatta quest'estate, da qualche parte sulla costa salentina, anche se ora non ce la faccio a ricordare dove (scusatemi ma ho il raffreddore, l'influenza e l'otite, sono troppo impegnato a cercare una quarta patologia per vincere il grande slam), ma il suo significato è utile soprattutto nel gelido inverno. Dato che non si legge perfettamente, trascrivo l'immortale massima:
"Allu scquaiare della nive essene i strunzi"
(Non c'è bisogno di traduzione, vero? Mi piace soprattutto l'utilizzo di "i" come articolo che regge il sostantivo plurale "strunzi".)

giovedì 13 dicembre 2007

Mai più senza!

Recupero il titolo di una storica rubica di cuore per proporvi un'iniziativa che la mia anima pop-catto-trash trova irresistibile: i santini (e relative preghiere) sul tuo cellulare, per tenerlo lontano dal peccato. Secondo me neutralizzano anche le onde elettromagnetiche.
Quelli di santiprotettori probabilmente sono dei geni.

martedì 11 dicembre 2007

bilocazione



come padre Pio, l'autore di queste due scritte agisce in più luoghi.
La prima si trova a Pisa, davanti alle poste; la seconda è nella stazione di Santa Margherita Ligure.
Sul senso delle due scritte non riesco a raccapezzarmi: lo stile è quello delle "Cartoline più belle del Mondo" del Sardelli, ma i testi (soprattutto nella scritta ligure) dimostrano o una psicosi fortissima o motivazioni esterne ai testi, inaccessibili al critico sprovveduto.
Se l'autore riconosce le sue opere, sono gradite delucidazioni.

giovedì 6 dicembre 2007

Across The Universe


Ogni cosa che utilizzi una canzone dei Beatles o di Fabrizio De André ottiene da me, a priori, una valutazione superiore a quella che meriterebbe. Ricordo una puntata di DO RE CIAK GULP di qualche hanno fa in cui Mollica come al solito parlava bene di CHIUNQUE e poi presentava un tale (sconosciuto e tale rimasto) millantandolo come il cantautore delle prossime generazioni. Il bellimbusto ebbe la decenza di utilizzare i 25 secondi a lui concessi suonando un pezzo di "Fiume Sand Creek" invece di una delle sue immortali composizioni. La scelta della canzone mi fece ipso facto cambiare la mia idea su di lui da "è un cretino raccomandato" a "è un cretino raccomandato ma almeno ha gusto".
Tutto questo per dire che se sono uscito dal cinema, dopo aver visto "Across the Universe", che contiene ed è costruito su 33 canzoni dei Beatles pensando "Madonna che film squallido", devo aver visto un film davvero brutto.
Si salvano numero 2 invenzioni (le fragole inchiodate e la visita di leva). Il resto non solo è kitsch, è ammico finto figo a ragazzi di 15 anni che hanno appena scoperto che sono esistiti gli anni '60: ecco dunque lo pseudo Jimi Hendrix, la pseudo Janis Joplin, lo pseudo Rooftop Concert. Inoltre: durante la pausa grottagliese ho letto Hearts in Atlantis di Stephen King, che non è De Lillo, ok, ma sul vietnam e sugli anni '60 dice cose immensamente più profonde: non ho potuto fare a meno di confrontare questi due prodotti della cultura popolare, e Across the Universe fa una figuraccia. Insomma, secondo la definizione di Olivia: è il passo successivo a High School Musical.
Infine: sono convinto che un essere umano in buona salute possa sopportare una dose ben definita di romanticismo (diciamo quello contenuto nei primi 3 minuti di Love Story): Across the Universe supera abbondantemente tale soglia.

(e io che speravo che la protagonista femminile morisse in una carica della polizia!)

mercoledì 5 dicembre 2007

lunedì 3 dicembre 2007

Papa Benedetto XVI, "Spe Salvi", enciclica. Una recensione.

Per finire: La filosofia, quale solo potrebbe giustificarsi al cospetto della disperazione, è il tentativo di considerare tutte le cose come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione. (Th. W. Adorno, Minima Moralia).

La nuova enciclica di Ratzinger sfrutta appieno la distanza che c'è tra il suo pubblico dichiarato (vescovi, presbiteri, diaconi e fedeli laici) e quello reale, che sono tutti gli altri: gli incerti, i disinteressati, gli agnostici, gli atei. Ratzinger sfrutta questa distanza per togliere dal novero dell'opinabile quello che è il centro del suo discorso, quello che nessun non credente potrebbe mai accettare se davvero fosse al centro della discussione; quel paradosso cioè che Ratzinger arriva a citare direttamente e che ricorda il credo quia absurdum, quello della "fede (che) ci dà la certezza". L'equivalenza tra la fede del cristiano e la certezza della vita ultraterrena, della redenzione della vita di ognuno e di tutti i dolori del mondo grazie alla rivelazione evangelica (da notare che le fonti utilizzate da ratzinger sono quasi totalmente neotestamentarie) diventa il centro non discutibile attorno a cui l'enciclica di Ratzinger si dispone, e attorno al quale vengono disposte le critiche a Marx e all'illuminismo che così tanto hanno sconvolto i laici-laici. La petizione di principio ratzingeriana è che il mondo non possa avere un senso che sia interno a se stesso, e che tale senso vada immancabilmente ricercato in qualcosa di esterno e superiore, qualcosa capace di risanare, nello sguardo che si volge indietro, tutto il male avvenuto. Il pensiero scientifico, da Bacone in poi, ha percepito l'insufficienza della risposta della chiesa al problema del male e del senso, e ha cercato un'azione sul mondo che dipendesse soltanto dall'uomo e non da una incontrollabile fiducia nella rivelazione. Ratzinger invece crede nel valore della fede come prova (è interessante il passo in cui il papa critica filologicamente la lettura luterana della parola hypostasis, non fosse altro perchè proprio in quel passo esce allo scoperto il Ratzinger più accademico), e non è disposto ad accettare alcuna risposta che sia, per sua stessa natura, parziale. Tale infatti è la risposta della scienza, che è sempre idealmente rivolta all'azione sul mondo futuro, e mai su quello passato, che non può far nulla per redimere. Per Ratzinger la scienza allarga la potenza dell'uomo, ma non influisce sulla sua libertà che, nel continuo dialogo con i testi di sant'Agostino, rimane sempre libertà di scegliere anche il male. Ecco dunque che il convitato di pietra, praticamente mai citato nell'enciclica, viene allo scoperto: la naturale tendenza dell'uomo al male, il suo essere macchiato - per chi crede - dal peccato originale, condizione di cui la morte è liberazione solo se si crede in una liberazione ulteriore, in una giustizia successiva e, più importante ancora, l'impossibilità di stabilire, su base umana, una morale che abbia la pretesa di essere immutabile, men che meno di essere scientifica. Ratzinger dice - e in questo non si può che consentire con lui - che ogni generazione, ma in realtà ogni singolo uomo, deve imparare ogni volta cosa significhi essere umani. Proprio per questo in alcune delle pagine dell'enciclica si respira il Machiavelli dei Discorsi, quello che ragiona sul ruolo fondamentale della religione nella vita degli stati. Ratzinger sviluppa un discorso esattamente sovrapponibile a quello di Machiavelli, con l'unica ovvia differenza che, se per Machiavelli una religione vale l'altra (e anzi quella pagana è più utile alla grandezza degli stati), per Ratzinger l'unica religione non può che essere quella fondata sulla speranza "vera" della rivelazione. Una speranza, va sottolineato, che si rivela essere speranza eminentemente antirivoluzionaria: da buon agostiniano, Ratzinger sgombra subito il campo da qualsiasi equivoco e chiarisce innanzitutto che Gesù non era un rivoluzionario, e che l'azione della speranza non agisce direttamente sulla città terrena, se non nella sua rivoluzionaria capacità di costituire una società capace di "accettare il dolore" e chi soffre, di farsi peso della sofferenza cercando anche di alleviarla, ma prima di tutto non rifiutandola. Il problema della scienza, come poi dell'illuminismo e del marxismo, secondo Ratzinger, risiede nell'aver preteso di sostituire a questa tensione verso la città celeste il tentativo di costruire qui da noi la "repubblica del paradiso" (giusto per citare Philip Pullman). Nel confronto tra realizzazioni insufficienti e a volte aberranti e un'immagine della rivelazione vince quest'ultima solo se si riesce a considerarla come perfettamente e indubitabilmente reale, e solo se si considera unico parto dell'illuminismo il terrore rivoluzionario (e non tutte le nostre costituzioni, per esempio, e le nostre libertà), come unico parto della scienza la bomba atomica e come unico parto del marxismo la dittatura stalinista e maoista (e qui, diciamocelo, il papa ha gioco ben più facile). Certo, il marxismo è l'avversario palesemente più facile da sconfiggere, proprio per la sua sovrapponibilità allo schema della redenzione cristiana, e proprio in questa facilità va inquadrato il "rispetto" con cui Ratzinger si riferisce a Marx, elogiando la sua analisi ma criticando, giustamente, l'assenza di una teoria marxista del "dopo" la rivoluzione. Ratzinger non si accorge che il dopo non è contemplato, nella teoria marxista, proprio perché ci dovrebbe essere, come nel giorno del giudizio cristiano, una rivelazione della vera natura di ogni singolo uomo (e il fatto che tutti i malvagi borghesi siano stati sterminati tra rivoluzione e dittatura del proletariato dovrebbe facilitare ai buoni -cioè tutti gli altri - il compito di mettere su una società perfettamente giusta). Il marxismo così come era pensato alla metà dell'ottocento, e come si continuerà a pensarlo in molti luoghi anche per tutto il secolo successivo, non contempla un dopo, prescrive delle azioni e dei giudizi sull'ora per rendere il dopo chiaro e luminoso, un dopo su cui può fantasticare ma non legiferare, esattamente come il cristianesimo può fantasticare ma non legiferare sul quello che avverà dopo il giorno del giudizio, non può indicare una morale successiva a quel giorno, ma solo indicare quella capace di condurci ad esso.
Con la scienza e l'illuminismo Ratzinger usa modi meno gentili e sottili, e lo fa a ragion veduta, perché il loro schema non è così facilmente sovrapponibile a quello cristiano, e perché lo scopo di essi non è liberare gli uomini per dopo, ma liberarli adesso, e prima di tutto liberare (o amplificare) le loro energie, anche quella di fare del male. Eppure, scienza e illuminismo hanno avuto successo nel liberare le energie degli uomini, con tutto il male e il bene che ne è conseguito, bene e male che rimettono soltanto agli uomini la responsabilità e il privilegio di giudicare delle proprie azioni, che rimettono ad ogni generazione la responsabilità e il privilegio di educare quelle future, che rimettono ad ogni singola società, gruppo, famiglia o uomo di confrontarsi con il proprio senso e la propria umanità. La critica di Ratzinger all'illuminismo e alla scienza viene fatta passare attraverso una serie di capoversi in cui si proclama evidente la'impossibilità di dare un senso facendo a meno di Dio, ma è una constatazione evidente solo per chi in Dio ha speranza e quella speranza ha già deciso di considerarla prova: l'evidenza di papa Ratzinger non è una dimostrazione perché se lo fosse sarebbe piena di paralogismi, e non possiamo credere che un papa si abbassi a simili dimostrazioni di bassa retorica: Ratzinger non dimostra ma mostra la sua verità che al contempo proclama come unica, e nel paragone con una simile verità - indicata, intravista, ma mai afferrata né posseduta - ogni verità umana oltre che parziale (cosa che è ontologicamente) sembrerà contaminata dal male. Se però si crede - e io sono di quest'avviso - che le verità umane siano le uniche con cui si può lavorare e che il nostro mondo non abbia altro senso che quello che noi le diamo, sbagliando e ripartendo da zero ogni volta, dell'enciclica di Papa Ratzinger non si potrà ritenere che il monito a ripensare la nostra umanità, il male e la sofferenza in ogni singolo istante come un problema aperto: per il resto, abbiamo già dato e pensato, e quella speranza che è anche prova ci dispiace, non ce l'abbiamo davvero più, neanche in soffitta, ché ci siamo accorti che occupava troppo spazio e non ci eravamo più neanche affezionati, che non serviva a niente e anzi ci impediva di fare delle cose giuste e utili più di quanto ci impedisse di fare quelle sbagliate.

(A parte: però quello di Ratzinger è un bel testo, da professore tedesco di filosofia che crede che Kant sia il verbo e se cita qualcuno al di fuori della Germania è solo per fare un esempio esotico o se, come nel caso di Bacone, non può proprio farne a meno. A parte gli ultimi due paragrafi - ma credo una peroratio come quella che chiude l'enciclica sia una sorta di caratteristica interna al "genere" stesso - mi sono divertito, a leggerla).

Blogged with Flock

martedì 27 novembre 2007

lunedì 26 novembre 2007

grandi ritorni: l'amore a grottaglie /2


Sulle mura dell'ex liceo scientifico di Grottaglie. Non sono ancora riuscito a capire se la percentuale va applicata alla quantità di amore totale o alla quantità di principessitudine.

venerdì 23 novembre 2007

giovedì 15 novembre 2007

Backside to the Future /3

A guardare indietro con occhio di antropologo, i Fracitan Lizards sarebbero diventati una sorta di mito fondativo, per la Comitiva del Gabbiano, al di là della loro innegabile, per quanto casuale, importanza effettiva. Senza la fallita esperienza del gruppo io e i miei amici del liceo scientifico difficilmente ci saremmo mischiati con quelli dell'Istituto d'Arte, ma ciò che faceva dei Fracitan qualcosa più dell'aneddoto sul "come ci siamo conosciuti" era la riproposizione continua di estratti dalla cassetta Fracitan Lizards LIVE in Vurtagghie e soprattutto, da un certo momento in poi, i Fracitan Lizards tributes, cioè i giorni in cui - a scadenza grossomodo annuale - ci ritrovavamo tutti in una stanza a suonare anche gli strumenti più improbabili e a improvvisare canzoni originali (la migliore di tutte, quella cantata in tutte le occasioni per almeno tre o quattro anni era "Annarita - Cierto ca la vita è propria Bastarda", dedicata all'immortale tema delle femmine che non ce la davano), o a improvvisare (come già ai tempi dei Fracitan "veri") testi cretini e più o meno autobiografici sulle canzoni che conoscevamo meglio o che era più facile suonare in un contesto del genere. Da quel crogiolo vennero fuori capolavori che mi ritrovo a canticchiare ancora oggi, con quei testi (di solito improvvisavo io i testi, anche perché era meglio ch'io NON SUONASSI) al posto degli originali.
A tutti venne naturale pensare - un pò per scherzo, un pò sul serio - a quei ritrovi come ad un tributo ad un gruppo che in tutto fece si e no sei o sette prove, produsse una cassetta inascoltabile e non suonò mai una canzone per intero, e il tutto qualcosa come cinque anni prima. Essere invitati, significava fare parte di un gruppo di amici estremamente e forse eccessivamente coeso, avere le cassette (chi le ha ora? credo Piero, forse William, ma da quando mi evita per motivi a me ignoti è diventato difficile chiederglielo) voleva dire custodire qualcosa che di tanto in tanto ti veniva richiesto, per copia o giusto per cazzaggiare, dagli altri,;lasciare la tua traccia in una cassetta e non in un'altra segnalava come solo per un breve periodo eri stato considerato uno di noi.
Quando finimmo di incontrarci per i Fracitan Lizards Tribute la comitiva, in realtà, si era già sciolta, anche se ci avremmo creduto ancora per un pò, alla sua esistenza.

Hostel, Part II, di Eli Roth

Ogni volta che sono a Grottaglie, anche se mentre ci sono ci lavoro (come in questo periodo) ormai non posso fare a meno di entrare nella modalità vacanza, il che vuol dire: leggo libri ponderosi e totalmente estranei ai miei studi o romanzi interminabili, e guardo i peggiori film in circolazione, soprattutto quelli che mai andrei a vedere al cinema. Grazie a questo modo di organizzare le mie vacanze grottagliesi sono riuscito a guardare gli ultimi due episodi della trilogia di Matrix, tutta la trilogia di guerre stellari (quella del giovane Anakin, quella degli anni settanta è bellissima, c'è poco da dire), i Fantastici Quattro (ma mi manca il secondo) e altre amenità di questo genere. Mi mancano ancora Van Helsing e Freddy vs Jason, ma recupererò. Tra i film visti durante uno di questi cicli dedicati al peggio del cinema americano (in realtà i teen movie sono peggiori, ma proprio non ce la faccio a guardarli), mi era capitato di vedere anche Hostel, con un certo disappunto (per la trama: l'unica cosa buona è che quello che all'inizio sembra il bravo ragazzo che non va a puttane e che crede nell'ammmore muore quasi immediatamente e di morte dolorosissima), ma anche con una certa dose di raccapriccio (le scene gore sono in effetti abbastanza forti) e con un certo sollazzo estetico, dato che il parterre di gnocca esibito dal film era quanto di meglio proposto dai tempi de "La liceale se la fa col professore". Oggi, sperando nel raccapriccio e nella gnocca, ho noleggiato "Hostel part II" e ho provato il forte disappunto di aver visto un film molto migliore di quanto credessi e (ovviamente: di solito le due variabili sono inversamente proporzionali) con molta meno gnocca. Hostel II ci premura subito di farci sapere che l'happy ending del primo episodio dura circa un paio di giorni, perché l'organizzazione che stampa la faccia del bracchetto sui suoi affiliati è implacabile, onnipervasiva e piena di gente che non ammazza in modo discreto e silenzioso neanche quando si tratta di far scomparire i testimoni scomodi (n.b. è tassativo guardare il film in inglese, non solo per la traduzione di Bloodhound in Bracco, ma anche perché è fondamentale nel film la peggiore parolaccia inglese, malamente tradotta - mi sono guardato un pezzetto del film in italiano solo per togliermi la curiosità - in "troia"). Dopodichè il film è la copia carbone del primo, con l'ovvio accorgimento che le donne si fanno convincere con la scusa delle terme e non con il turismo sessuale, che l'anima bella è sostituita con la bruttona (che va, come in ogni film americano che si rispetti, con quello grasso e uguale a Vinnie Paul, il batterista dei Pantera) e che hanno una personalità anche i due "carnefici" principali. Hostel II gioca con l'idea scontata ma efficace che la vera crudeltà non sia nello yuppie esaltato e di successo ma nel suo compare frustato dalla moglie, dal lavoro e dai debiti, quello che ha una sensibilità, è timido e gentile e si fa prendere dai dubbi. Infatti, il film gioca proprio col concetto che dal dubbio e dal torcersi le mani e dal desiderare di salvare la propria vittima discenda la vera crudeltà, ed è per questo che il torturatore teoricamente più "buono" è quello che davvero fa paura. Gli altri, soprattutto gli omini dell'organizzazione sembrano più che altro bravi impiegati assuefatti al lavoro e sembra anche che lo facciano un pò di malavoglia e non troppo bene. Insomma: è come quando ti assumono alla vodafone per sei mesi e gli ultimi quindici giorni rispondi un pò più sgarbato al telefono perché tanto sai che non ti rinnoveranno il contratto.
Tra l'altro nel film non lo dicono mai, ma è evidente che gli operai del Club della Caccia c'hanno un contratto a termine, e che quelli che procacciano le vittime vengono pagati a provvigione e si sono dovuti aprire una partita iva perchè i padroni si sono rifiutati di assumerli. Insomma: sono vittime anche loro.
(Anche perchè l'unica che si salva è quella coi soldi.)

martedì 13 novembre 2007

aggiornamenti grottagliesi

Come anticipato, la prima metà del viaggio verso grottaglie è stato dedicato alla lettura del libro di Luzzatto su Padre Pio. Alle ore 11, però, un pò stanco e annoiato ho aperto l'ultimo libro di Chuck Palahniuk, "Rabbia", gentilmente prestato dalla mia amica Mariangela e, a parte dormire un paio d'ore, non sono riuscito più a chiuderlo. Palahniuk scrive il suo libro più bello dai tempi di "Soffocare", e lo fa una volta tanto puntando non sull'ammasso di freaks e di storie assurde che contraddistinguono i suoi libri (e che qui non mancano) ma attraverso la struttura del libro (che imita la storia orale e si presenta come un cut up di interviste rilasciate da amici, nemici e parenti di Buster "Rant" Casey) e attraverso un'idea di fondo stranamente legata ai canoni classici della fantascienza, a cui mi sembra che Palahniuk non si fosse mai avvicinato. In più, Palahniuk riesce, attraverso le voci degli "intervistati" a fornire lui stesso un tentativo di interpretazione del suo stesso romanzo, e lo fa in maniera convincente. Devo riscriverne, appena potrò farlo da un luogo diverso dall'INTERNET POINT PIU' CARO DELL'UNIVERSO.
Finito Palahniuk mi sto ridedicando a Luzzatto, il cui maggior pregio - ma anche di questo riparlerò - è nell'aver scovato e valorizzato la figura di Emanuele Brunatto, spia, truffatore, millantatore e faccendiere, ma allo stesso tempo cristianissimo e devotissimo seguace di Padre Pio, vero artefice di molte delle fortune di quest'ultimo. Ecco, solo per un personaggio da romanzo "larger than life" come questo Brunatto, valeva la pena spendere i 24 euro del libro di Luzzatto. (Che, ripeto, se i bravi cattolici si prendessero la briga di leggerlo, contiene cose capaci di far rizzare i capelli molto peggio della discussione sulle stimmate....)

giovedì 8 novembre 2007

numerologia (666 the number of the bitch)


non ho capito molto bene il senso di tutto questo, ma per scrivere una cosa enorme su un muro uno deve avere dei motivi no?

a Pisa, vicino a Ponte di Mezzo.

mercoledì 7 novembre 2007

Luzzatto, Padre Pio: ovvero la differenza tra un libro e un articolo del Corriere della Sera


Sabato torno a Grottaglie per una decina di giorni. Ho dunque dato fondo alle mie finanze per comprare il nuovo libro di Sergio Luzzatto "Padre Pio. Politica e miracoli nell'Italia del Novecento", da leggere durante le abbondanti 14 ore di viaggio.
Mi è venuta la curiosità di cercare commenti al libro, via Gugle, naturalmente.
Ho scoperto così che le reazioni della rete "cattolica" al libro sono piuttosto scomposte, anche più di quanto avrei immaginato: come minimo si afferma che Luzzatto (cioè l'"EBRAISMO", come viene comicamente sottolineato dal paparatzingerblog) non dovrebbe occuparsi di un santo cattolico e che il contrario non potrebbe avvenire (ma io non credo che nessun ebreo avrebbe niente da ridire ad un libro su Maimonide). ***Ah, senza considerare che per quanto ne so Luzzatto NON è ebreo.*** La cosa davvero strabiliante, però, è che tutti parlano del "libello" di Sergio Luzzatto senza, palesemente, averlo letto. Io, che per ora mi sono limitato a leggere qualche pagina dell'introduzione e l'indice, so già perfettamente che il libro contiene ben di più (e ben peggio, per un qualsiasi cattolico pensante) che una discussione delle stimmate. Eppure, nessuno parla d'altro: evidentemente nessuno l'ha, non dico letto, ma nemmeno aperto, il libro, e l'hanno scambiato per l'articoletto uscito sul Corriere della Sera. Detto articolo, che sarà sconvolgente per chi non ha letto il fondamentale volume di Federico Sardelli "I miracoli di padre Pio", conta però 9536 caratteri, cioè neanche cinque cartelle: come si fa a scambiarlo per un libro? Anche la forma è diversa. Non mi sembra un buon punto di partenza per criticare il "rigore scientifico" di Luzzatto.

martedì 6 novembre 2007

festività natalizie



a pisa, davanti alla sede centrale delle poste: la qualità infima è dovuta al fatto che  lo sfogo è stato vergato sulla rete che copre i lavori per il parcheggio sotterraneo di piazza Vittorio Emanuele II.

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avversativa amara



a Vicenza, nel sottopassaggio della stazione.

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martedì 30 ottobre 2007

Frog Eyes "Tears of the Valedictorian"


Non fosse stato per una simpatia onomastica, mai avrei ascoltato un disco dalla copertina così brutta. Mi sarei perso gli ennesimi (deve essere un buon periodo, da quelle parti) canadesi capaci di mischiare indie rock, psichedelia, buone dosi di pop e molta schizofrenia: dalle parti degli Arcade Fire, ma con un cantante (Carey Mercer) che blatera (per fortuna) molto di più su testi apparentemente privi di qualsiasi senso, in un amore dichiarato per il primo Nick Cave, ma forse ancora di più per i cantanti folk degli anni settanta (Roy Harper, ma anche Van Morrison e certo Tim Buckley....). Come gli Arcade Fire, si diceva, ma con molti più angoli e spigoli taglienti, e con la tendenza a prendere perfette melodie pop-rock e mandarle a velocità doppia, per vedere l'effetto che fa (soprattutto il pianista si vede che ci prova, ma non è capace di suonare più lentamente).

n.b. Sul sito della loro etichetta (Absolutely Kosher, già il nome....) si può ascoltare Bushels, il pezzo migliore - e il più lungo e complesso - del disco. Buon Ascolto!

sabato 27 ottobre 2007

Fùtbol



avevo dimenticato di aver scattato questa foto. Il 16 di giugno, a Pisa (cioè nel giorno della festa del santo Patrono, San Ranieri, per l'appunto), il giorno prima della partita con il monza decisiva per il passaggio in serie B.

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mercoledì 24 ottobre 2007

Philip Pullman "His Dark Materials III: The amber Spyglass"


Di ritorno dalla Valtellina, con i pizzoccheri e una sorta di purè 2.0 da digerire ("tavroz", mi sembra che si chiami), non ho potuto fare a meno di finire di leggere l'ultimo capitolo della trilogia di His Dark Materials: The Amber Spyglass.
Da allora continuo a chiedermi cosa non mi è piaciuto di questo terzo volume, e mi do varie risposte: i nemici come al solito sembrano avere troppa fiducia in sè stessi, ed è questo che causa alla fine la loro sconfitta (ma il difetto è alla base: è nel cercare di dipingere il nemico sempre come il più potente possibile, per far apparire più grandi anche i "buoni": d'altronde è più semplice disegnare grandi villains che grandi eroi): l'angelo Metatron è troppo umano e troppo debole, alla fine, troppo scoperto. L'unico colpo di genio è renderlo così perché in fondo troppo arrapato. Poi non mi è piaciuta la conversione al "bene" di una delle cattive dei primi due volumi, in virtù di un amore materno a cui invece in precedenza era risultata magnificamente indifferente. Inoltre alcune sdolcinatezze finali, e una certa sproporzione tra l'evento da cui tutto dovrebbe dipendere, cioè la "tentazione" di Lyra e Will, i due bambini protagonisti del libro, e il reale impatto che esso ha sulla storia dei mondi (ma ho qualche dubbio: proprio questa sproporzione potrebbe essere un colpo di genio ulteriore di Pullman: almeno, è da quando ho finito di leggere il libro che mi ci sto interrogando).
Le cose che me lo hanno fatto amare sono però molte di più di quelle che non mi soddisfanno e che mi sto arrabattando ad elencare: una costruzione teologico-ontologica profondissima (in un libro per bambini, poi! Dovevo ripetermelo ogni dieci pagine, che stavo leggendo una roba messa sugli stessi scaffali di Harry Potter), in cui il bene è l'autocoscienza e la capacità degli uomini di mantenere la propria mente aperta, l'esortazione a costruire nel mondo "la repubblica del paradiso" (dopo che il Regno viene, giustamente, distrutto) contro ogni pensiero o religione che vorrebbe imporci rinunce e spostare la nostra attenzione dal mondo in cui viviamo ad un inesistente vita dopo la morte; alcuni personaggi fenomenali (i due angeli omosessuali, il prete assassino, Lord Asriel, che non prova mai affetto per la propria figlia, che al limite è fiero di quello che sta facendo, risultando in questo ben più credibile di Mrs Coulter, la dottoressa Malone, ovvero il serpente, ecc.), la morte di Dio e una delle discese agli inferi più "credibili" che io abbia mai letto. Inoltre, un continuo riferimento/controcanto ad alcuni capolavori della letteratura: nel primo il Paradise Lost di Milton, nel secondo le Songs of Innocence e le Songs Of Experience di William Blake, in quest'ultimo di nuovo Milton, ma anche la Commedia di Dante (ovviamente) e, in un capitolo geniale, la Recherche di Proust.
Mi rimane il dubbio di come possano pensare di trarne un film visionabile alle grandi masse: certo Pullman ha l'accortezza di non parlare mai di Cristo (anche se la religione del mondo di Lyra è la religione cristiana, priva della divisione tra protestanti e cattolici) e l'impressione che se di Cristo parlasse lo metterebbe dalla parte di coloro che lottano contro Dio rimane una lettura tendenziosa: magari basta ammorbidire la polemica contro la chiesa e fare della lotta contro Dio la lotta contro qualche tipo di potere superiore non meglio specificato per renderlo fruibile. L'unico problema è che così della profondità del libro non rimane quasi niente, e non si capisce tutta la riflessione sul peccato e sulla libertà degli uomini. L'unica speranza insomma, è che il primo film vada così male che ai produttori non convenga realizzare gli altri due. Contro questa riflessione però, temo proprio che il film, quando arriverà in Italia, andrò a vederlo. (ripeto, la mia religione me lo consente).

i grandi scoop del menga: le facce dei wu ming (cioè di due di loro)

Ieri sera qui a Pisa, al Rebeldia, c'erano un pezzo dei Wu Ming a presentare Manituana, il loro ultimo libro. Io ci sono andato con la speranza che ci fosse WM1, che è quello che leggo e ascolto più volentieri (i readings da "new thing" sono fenomenali, ascoltateli), e con la curiosità di vederli "dal vivo" e aggiungere delle facce a tizi di cui conosco bene voce e scrittura. Insomma, era come incontrare un amico di penna dopo anni di corrispondenza, con la differenza che io a loro non ho mai scritto e ieri per non eccedere ho evitato anche di fare domande.
I due Wu Ming erano esattamente così:
Uno dei due, quello che ho scoperto essere WM1, faceva stretching prima della presentazione, e già questo valeva la serata. L'altro non ho onestamente capito quale fosse, ma lui, la sua refrattarietà alla calvizie e il turchese della sua felpa hanno tutta la mia approvazione.

update: uno scambio di mail con i wu ming (gentilissimi e rapidissimi a rispondere, tra l'altro, fossero così metà dei professori che conosco....) mi ha rivelato che la verà identità di wu ming bhò (pseudonimo che se fossi in lui userei d'ora in poi: wu ming 1, 3, 4, 5 e bhò) è in realtà wu ming 2: l'avessi saputo gli avrei fatto un pò di domande su Geims Oliva, uno dei miei personaggi preferiti di sempre, e sul teorema dei tre bar. (Il teorema, se lo ricordo bene, è così: in ogni paese con più di mille abitanti, municipio e bancomat esistono almeno tre bar, uno coi tabacchi, uno dei vecchi e uno della teppa. Quest'estate e l'estate scorsa cercavo i paesini più piccoli del salento proprio per verificarlo).

gli unici che contano

Giuro, poche cose mi hanno fatto più piacere nella vita di questo.

giovedì 18 ottobre 2007

metal hello kitty

la stessa amica che mi segnalava il video dei pink floyd oggi mi stupisce con questa meraviglia.
(Poi la smetto di postare video, diventa una droga)

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ancora lui

Per la vostra gioia, ecco un altro video del buon Danzig. Mi piacciono particolarmente: le sue smorfie all'inizio, la tizia inspiegabilmente in reggiseno e il momento in cui casualmente gonfia il bicipite.

Il nostro eroe non è però soltanto un cantante tutto muscoli e ciuffo, è anche un ragazzo sensibile che legge e si informa, anche se una certa psicopatia è sempre evidente, cosa che trova facilmente conferma in questo splendido video documento.
Enjoy!
N. B. Danzig non è a petto nudo per caso: si toglie la maglietta tutte le volte che si mette a leggere.



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mercoledì 17 ottobre 2007

Ciò che mi fa scrivere

Questa sera, dopo un pomeriggio passato advanti al computere senza essere capace di produrre nemmeno una riga di testo dignitosa, ho deciso di non uscire e di lavorare alla mia tesi di dottorato. I Radiohead e i Mice Parade (cioè i due dischi che in questi giorni sto ascoltando di più) non hanno aiutato. I Motorpsycho, passione dei primi anni dell'università, hanno sortito un effetto poco migliore.
Allora, l'illuminazione: Glenn Danzig, ovvero il primo cantante dei Misfits, un figuro troppo grezzo per essere vero, culturista, misogino, fissato con l'horror di serie zeta e con un pessimo gusto in fatto di acconciature. Tuttavia, una delle cose che ho ascoltato di più tra i quindici e i diciassette anni, sentendomi anche un figo perché insomma, un personaggio più di nicchia di lui a Grottaglie era difficile scovarlo. Anche nella nostra comitiva di metallari lo ascoltavamo soltanto io ed Enrico Petrelli (che per un certo periodo della sua adolescenza aveva anche finito per assomigliargli).
Come tutte le volte che riascolto Danzig, mi stupisco di come continui a piacermi, e di come rilassi tanto il mio cervello da farmi scrivere con una facilità incredibile.
Oh, per me sto tipo è un ganzo*.

*(Mi dicono che i suoi dischi successivi a "4", ovvero l'ultimo che io ho comprato, facciano pena, ma non me la sento di verificare. Allego però il ridicolissimo video della sua canzone più famosa, direttamente dal primo suo disco. Enjoy!)

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Pink Floyd - Arnold Layne

Una mia amica mi segnala che esiste un video di Arnold Layne, e io non l'avevo mai visto, accidenti.

lunedì 15 ottobre 2007

l'acquisto scemo della settimana



A Firenze, vicino a Palazzo Strozzi, ci sono due bancarelle che vendono libri usati e rimanenze.
Una, quella sotto i portici vicino piazza della Repubblica, è quella intellettuale: pubblicare un libro e arrivare su di essa significa definitivamente essere qualcuno. Su di essa trovano posto soltanto libri einaudi, adelphi e qualche feltrinelli, ma solo la collana "Campi del sapere".
L'altra, in piazza Strozzi, vende quello che capita a prezzi tra il ridicolo e l'illogico.
Proprio alla seconda di queste bancarelle ho fatto l'acquisto più scemo degli ultimi tempi: per solo un euro mi sono portato a casa la bibbia di Ron Hubbard*, Dianetics: ho sempre preso in giro scientology sulla base di quel poco che ne sapevo tramite internet e i giornali, ma ora intendo farlo a ragion veduta. (sempre ch'io non mi converta).
Tra le perle che regalano le prime cento pagine (a parte la punteggiatura dispensata da traduttori giustamente rimasti nell'ombra), questo consiglio agli scettici che non vogliono credere alla natura degli engram** "Se avete voglia di fare un esperimento potete prendere un uomo, renderlo 'incosciente', ferirlo e dargli delle informazioni. Attraverso la tecnica Dianetics, non importa quali informazioni gli possiate aver dato, queste potranno sempre essere recuperate. Questo esperimento non va condotto alla leggera perché potreste farlo impazzire"
(giuro, non ho cambiato nè aggiunto nè tagliato niente).
Ho deciso di non condurre l'esperimento perché da scettici si vive male, soprattuttto in prigione.
Appena sarò guarito dai miei traumi prenatali, vi assicuro che lo farò sapere.

*tutto il post va ascoltato con in sottofondo Aenima dei Tool, in particolare il pezzo "fuck L. Ron Hubbard and fuck all his clones, fuck you disfunctional, insicure, actresses..."
**un engram è una registrazione completa in ogni dettaglio fatta dalla "mente reattiva" in situazioni di incoscienza totale o parziale, capace di condizionare il comportamento cosciente di chi ha vissuto l'esperienza traumatica così registrata.

venerdì 12 ottobre 2007

Radiohead "In rainbow", recensione in tempo reale.

Dico che impressione mi fanno i pezzi del nuovo album dei radiohead, al primo ascolto, poi magari ci ragiono su meglio (l'ordine è sparso, dipende da come mi stanno arrivando....)

Nude: bella. Lo stile è quello di A Wolf at the Door, una delle due mie canzoni preferite di Hail to The Thief. La prima impressione è che abbiano complicato molto le melodie.

Weird Fishes/Arpeggi: arpeggi, per l'appunto di fondo, continui, e una batteria in crescendo, mi sembra (la canzone non è ancora finita). mi sembra che Yorke spinga molto con la voce, più di quanto avesse fatto ultimamente e molto più di quanto abbia fatto nel suo disco solista. pausa a metà brano e bellissima ripartenza, che mi ricorda qualcosa ma ora così su due piedi non mi viene di dir cosa.

All i Need: mid-tempo e un suono elettronico grasso e sporco. il ritornello "You're all i need" un pò mi stranisce, cantato da Thom Yorke, ma chissà che dice il resto del testo. Gran finale, temo che questo sia un disco da ascoltare in cuffia e le casse del mio portatile non gli stiano facendo giustizia.

Faust Arp: Chitarra acustica e Voce, raddoppiata subito e poi archi abbastanza schizofrenici di fondo. Ci ho risentito un altro "i love you etc.". I Radiohead ritornano a far canzoni d'amore?
Comunque, due minuti e nove secondi complicati.

Reckoner: non so cosa pensarne, a primo ascolto, se non che mi piace come è trattato il suono della batteria, in 'sto disco.

15 step: prima canzone del disco ma arriva ora. Sporca e Yorke fa impressione. Percussioni e beat stranissimi, non capisco ancora dove vogliano andare a parare ma l'impatto è forte. Che casino fanno? E poi ci sono i bambini che urlano "Yeah" che fanno molto Be Aggressive dei Faith No More.

Bodysnatchers: seconda canzone del disco (vedi su).partenza in chitarra distorta, ovvero quello che non ti aspetti. Cantato un pò lazy, da rockstar dei bei tempi, chissà perchè ci sento i beatles, nella finta melodia indiana che ogni tanto esce fuori. Che Figata. Ecco, questo pezzo mi riconcilia con la musica. Che casino. non sto a descriverlo ché non ci sto capendo nulla e direi cavolate (già quella cosa dei Beatles forse lo è)

House of Cards: dopo tanto casino questa sembra tranquilla, vado a cambiarmi che devo uscire, magari questa posso ascoltarla di sottofondo. In effetti è l'unica finora che non mi abbia fatto granché sobbalzare sulla sedia.

Jigsaw Falling into Place: Bello l'arpeggio con cui inizia. Ganzo l'ingresso di basso e batteria. ha un qualcosa che assomiglia ad un ritornello ed è bellissimo tutto ciò. Oddio, la melodia vocale qui ricorda roba molto più pop, con delirio in sottofondo. Provo ammirazione.

Videotape: chiusura del disco. inizio in pianoforte, e voce. cazzo devo uscire sennò faccio tardi. chissà se succede dell'altro in questo pezzo ma lo scoprirò più tardi.

(Impressione generale nell'ascolto: sono un pò frastornato. Un pò non capisco bene dove vadano a parare le canzoni, un pò mi rendo conto che sono così complesse da doverci lavorare su. Ho un pò l'idea che questo possa essere l'equivalente di Laughing Stock dei Talk Talk, anche se i Radiohead, nonostante tutto non potrebbero mai essere così POCO commerciali...)

(Seguirà: una recensione degna di questo nome, appena mi ci raccapezzo.)

mercoledì 10 ottobre 2007

fare gli snob con se stessi


l'attesa per il nuovo disco dei radiohead (in rainbow, tra giusto 5 giorni.....) si sta facendo spasmodica, ma oggi per la prima volta mi è venuto il dubbio che, dopo tanta attesa, quel disco possa fare la fine che ha fatto (finora, poi magari tra un mese lo riscopro e lo ascolto fino allo sfinimento) l'ultimo album, omonimo, dei Liars: appena è uscito ho avuto un mancamento, l'ho ascoltato una volta, trovato bellissimo e consigliato a chiunque fosse a portata di voce e... ascoltato in tutto altre due volte.
Nello stesso periodo, ho ascoltato un numero di volte piuttosto enorme il disco di Basia Bulat, che è una specie di Joni Mitchell all'acqua di rose, a volte deliziosamente folk, a volte fastidiosamente pop, e viceversa. Come mai non l'ho consigliato a nessuno? E come mai se penso a cosa ho ascoltato di degno negli ultimi mesi non mi viene in mente lei? Eppure il contatore di iTunes non mente....
La stessa cosa mi è capitata con l'ultimo album degli Interpol, che ho trovato bello e profondo, apprezzando la svolta nel sound e nel songwriting (questo era giusto per far vedere che possiedo persino il gergo tecnico del recensore): peccato però che la canzone che ho ascoltato più spesso
di tutto il disco sia "the heinrich maneuver", cioè l'unica scritta nello stesso identico stile dei due album precedenti...
Come mai tendo a raccontarmela? Con i libri non faccio così: sono conscio dei periodi in cui leggo solo cavolate, e anzi difendo con fierezza le mie letture disimpegnate (a proposito, ho "Il Bacio di una morta" della Invernizio che mi aspetta).
Boh, comunque, sto vivendo un attimo di pace in questa schizofrenia tra il musicofilo che penso di essere e quello che sono in realtà: nelle ultime due settimane ascolto quasi esclusivamente i Japan ("Gentlemen Take Polaroids"), il solito Sufjan Stevens e quell'inaspettato capolavoro che è "Prog" dei The Bad Plus.
Poi magari tra un paio di mesi scopro che la cosa che sto ascoltando di più sono Tony Tammaro (che stamattina popolava il mio iPod) e i Beatallica (ovvero il più grande gruppo metal mai esistito).

domenica 7 ottobre 2007

studi ratzingeriani

Un tentativo di Ratzinger. non sono ancora convinto circa la forma del viso, ma mi piacciono molto le orecchie da saggio Yoghurt (quello di Balle Spaziali).

sabato 6 ottobre 2007

col culo degli altri....

Ecco dunque la versione 1.0 del simbolo del prossimo anno. I colori e la qualità del tutto sono ancora piuttosto precari, ma avevo solo i pastelli comprati a 50 centesimi a Milano, e non avevo voglia di usare uno scanner e sono partito (come quasi sempre) da una foto digitale del foglio da disegno.
Ora il prossimo stadio sarà disegnarne una versione decente e farmene fare una versione in CG da Vanni.
Mi sto divertendo come quando ho prodotto le tessere del partito lennonista italiano.

mercoledì 3 ottobre 2007

culombi e pipìstrelli

In questi giorni mi sento un pò il piccolo sindacalista incazzato, anche se preferisco far finta che il mio malumore sia dovuto a due tragedie musicali di cui sono venuto a conoscenza: la prima è che nel prossimo disco di Eros Ramazzotti ci sarà un duetto con Jon Spencer (qui trovate una narrazione plausibile del come si sia potuti arrivare a tanto), la seconda è la cover, con testo modificato, of course, che Dolcenera ha fatto di A Wolf at The Door dei Radiohead (il titolo della versione di Dolcenera è "Il Luminal d'Immenso", se a qualcuno venisse la curiosità d'ascoltarla).
Attraversando piazza dei Cavalieri con una birra come obiettivo ho però deciso di essere ottimista, e lo spirito scazzone che come al solito si impossessa di me in questi momenti mi ha suggerito finalmente la forma e il motto del mio stemma araldico per la fine del 2007 e per tutto il 2008: fondo fucsia, un culombo in alto al centro insidiato da due pipìstrelli in basso (entrambi cavalli di battaglia di miei vecchi disegni). Il motto ripreso da una geniale intercettazione di Stefano Ricucci:
"SONO TUTTI FROCI COL CULO DEGLI ALTRI".
Lo disegnerò a Milano, durante i giorni del convegno, e lo posterò appena possibile.

lunedì 1 ottobre 2007

Radiohead "In Rainbow"


Finalmente i Radiohead si sono decisi ad annunciare il nuovo album, che a quanto pare sarà scaricabile direttamente dal loro sito al prezzo deciso dagli utenti ("it's up to you" è il laconico commento quando si clicca sul punto interrogativo di fianco allo spazio in cui ognuno deve inserire il prezzo che ha in mente).
Rimango sempre basito di fronte alla figaggine di questa gente.
Spero che la loro musica sia rimasta all'avanguardia come le loro idee.
Intanto lotto con il loro sito e cerco di ordinare il disc box, ovvero il feticcio che ogni fan con crisi di coscienza perchè compra un centesimo dei dischi che ascolta finirà per comprare (e questo mi fa pensare che forse i Radiohead sono più furbi di quanto vogliano far credere).

(La caricatura di Thom Yorke l'ho presa dal sito The Cyber Art of Den Preston)

giovedì 27 settembre 2007

benedetti referrers

Da qualche tempo ricevo plurime visite da gente che cerca la combinazione di parole "Gang Bang" su Gugle. Ricevo anche molte visite da gente che cerca immagini, molte più di prima. Mi è venuto il dubbio che fosse perchè cercavano immagini di gang bang(s). Così ho fatto una veloce ricerca e a parte scoprire che nella seconda pagina di Gugle Ricerca Immagini per la chiave sopra evocata appare il mio bel faccino con barba e turbante fatto d'asciugamani (e ringrazio chi clicca per questo motivo sul link, sono lusingato), ho scovato questo gruppo di pazzi francofoni. Fatevi un giro, che ne vale la pena. Qui sotto l'immagine che ha attirato la mia attenzione, intitolata, manco a dirlo, "Big-Bang, Gang-Bang & Hygiène Bancale".

post in convalescenza:


Prima che un qualche virus si impadronisse del mio corpo, il week-end milanese era stato dedicato alla lettura di Camporesi ("Il paese della fame") e di Philip Pullman ("The Subtle Knife", ovvero il secondo capitolo della trilogia His Dark Materials).
Camporesi l'ho trovato geniale come sempre, anche se forse in questo caso la sua lettura di alcuni esempi di cultura popolare non mi convince del tutto (voglio dire: deve PER FORZA tutto essere un simbolo di antichi culti agrari, ecc. ecc? Cioè: molto probabilmente lo era, ma già all'epoca dei documenti di Camporesi - e alcuni arrivano fino alla fine dell'ottocento - quella loro valenza si era dissolta, o perlomeno annacquata; mi sembra una forzatura fare tutte le inferenze che fa Camporesi, ma devo anche ammettere che di cultura popolare ne so pochissimo e magari sono io che non vedo l'evidenza...).
Il secondo capitolo della trilogia di Pullman è un classico esempio di libro di passaggio (dall'universo chiuso del primo libro all'esplosione dell'ultimo, dal racconto incentrato su una persona - la piccola Lyra - a quello corale), e non può fare a meno di avere alcuni dei difetti propri dei libri che stanno lì per collegarne altri due: snodi narrativi un pò meno felici, meno azione e tensione più flebile. Non che il libro non sia bello, anzi: ma in questo caso la bellezza del libro sta soprattutto nelle finestre che apre sul terzo capitolo, nella spiegazione di quello che sta per avvenire, nelle informazioni che ci vengono centellinate sulla futura lotta tra l'armata di Lord Asriel e "l'Autorità" (nel senso più alto possibile...). Certo, rimangono alcuni punti oscuri: da dove prendono tutto quel carisma i due "cattivi" (cioè la madre e il padre di Lyra, sempre che cattivi siano per davvero, e per il padre rimane sempre un dubbio, perchè che sia stronzo e cinico è sicuro, ma la cattiveria è altro)? Come fa Lord Asriel tutto d'un botto a mettersi a comandare le schiere degli angeli? Lord Asriel, che sembra sapere sempre tutto, lo sa che gran casino ha fatto a figliare?
Ce la sto mettendo tutta per non mettermi subito a leggere il terzo capitolo, e vi assicuro che non è facile.
I punti migliori del libro sono comunque due: il primo è il laconico commento che Lord Boreal fa quando sa della battaglia che Lord Asriel sta preparando: "How medieval". (Va detto che Lord Boreal è veramente il prototipo perfetto del cattivo, ma fa una fine davvero ingloriosa)
Il secondo è l'unica indicazione che viene data alla dottoressa Malone circa il suo ruolo futuro nello svolgersi degli eventi: "YOU MUST PLAY THE SERPENT".
Ecco, dopo aver letto una roba scritta così, c'è da stupirsi se poi l'ultimo Harry Potter mi sia sembrato così tanto una ciofeca (sempre meno del penultimo, ovvio, quello ha un grado di bruttezza inarrivabile)? Ringrazio quindi mister Schwarz per avermelo prestato e avermi così fatto risparmiare ben 28 euri, e se riesco a trovare la forza, primo o poi dirò anche perché l'ho trovato così brutto.

venerdì 21 settembre 2007

giovedì 20 settembre 2007

Harry Potter e il Veneto in Armi


Come al solito esecuzione e materiali sono più che provvisori (carta legale gialla e quattro minuti della mia vita), ma è ad uso quasi esclusivo di Marco, quindi....

come è bello far l'amore da ferrara in giù....

Ho appena scoperto il blog di Giuliano Ferrara (sempre che si possa definire così una pagina web che riproduce un editoriale, senza commenti visibili), e mi sono divertito molto a leggere le sue opinioni sul sesso, il cui scopo è "fare figli in giovane età coltivando attraverso il piacere la carità e l'amore di sé che sono l'essenza del genere umano e la sua anima razionale o spirituale". Posso essere d'accordo sulla prima parte (e insomma: anche il fine naturale della voce è avvisare i compagni di branco del pericolo imminente e magari chiamare il partner all'accoppiamento, ma non è che tutto quello che facciamo con la voce diventa immediatamente "ridicolo" e turpe e degenerato....), ma la seconda, da ateo vecchia maniera quale riconosco di essere, mi risulta piuttosto oscura. Più avanti Ferrara fa un pò di confusione e porta a sostegno della sua difesa dell'amore vecchia maniera il fatto che uno stallone (o un eroe di Fielding!!) si ribellerebbero all'imposizione del profilattico: ma non si stava parlando di quello che è "l'essenza del genere umano"? Che c'entra lo stallone? Portare a difesa di una tesi due argomenti tra loro contraddittori non è controproducente?
Però una cosa bellissima Ferrara la dice, definendo Mughini "jemenfoutiste di altissimo lignaggio": è una definizione che cercherò di fare mia.

P.S. Ma è un mio falso ricordo o una quindicina di anni fa Ferrara conduceva una trasmissione sul sesso su Italia Uno?

mercoledì 19 settembre 2007

Backside to the Future /2

Uno dei problemi principali, se si voleva fare il musicista a Grottaglie, era quello di avere una sala prove decente in cui farlo.
Quando ancora i Fracitan Lizards muovevano i primi passi (che poi si sarebbero rivelati magicamente coincidenti con gli ultimi), ci accontentavamo della sala prove del maestro Michele Miaghi, ma ben presto il costo proibitivo (10.000 lire l'ora, e all'epoca ci sembrava un'enormità) e la scarsità della strumentazione a disposizione ebbero la meglio sulla nostra pazienza, e cantare direttamente nel registratore perché non c'erano microfoni iniziò a sembrarci meno divertente.
Pochi gruppi (i General Store di Marc Urselli e Vincenzo Pastano, pochissimi altri) avevano la sala prove, e ben presto iniziammo a sognare di averne una tutta nostra. Casa di mia nonna al paese vecchio aveva tutto quello che serviva, cioè non ci abitava nessuno (era l'unica caratteristica che ci venisse in mente: acustica, sicurezza e poco altro non sfioravano ancora le nostre menti vergini).
Decidemmo di suonare nel seminterrato, senza calcolare che ogni volta che pioveva si formava un guazzo immondo: io e Tiziano passammo le prime due settimane a togliere acqua dal pavimento, poi pioveva, poi la ritoglievamo: fu in quel periodo che per passare le ore a raccattare l'acqua Tiziano mi chiese di raccontare una storia, e io improvvisai le rutilanti avventure del Ragazzo dalla Capella d'Oro.
Trovammo infine una soluzione al problema dell'acqua, portammo insieme tutti gli amplificatori e la batteria, arredammo mettendo alle pareti dei poster francamente inguardabili e addirittura ci autotassammo per mettere insieme un fondo cassa.
Furono circa tre settimane di prove bellissime, di libertà e felicità.
Poi ci rubarono tutti gli strumenti.

Ci vollero due settimane e un congruo cavallo di ritorno per recuperarli, e la voglia di avere una nostra sala prove aveva fatto in tempo a passarci.

sabato 15 settembre 2007

pubblicità progresso

Da giorni mi dico che dovrei scrivere uno o due post lunghissimi su quello che ho letto/visto/ascoltato in questo periodo, ma prima di tutto viene una delle poche cose capaci di spingere Luca Sofri ad usare la parola CULO: "La campagna commerciale per convincere gli americani a lavarsi il culo".
Il punto più alto dell'intera operazione è la sezione happiness, in cui viene spiegata la felicità connessa a questa esoterica operazione e vengono lette le testimonianze di increduli customers.
Sono quasi innamorato, invece, della tizia che spiega gli indubitabili vantaggi offerti dall'acqua rispetto alla carta igienica.

domenica 9 settembre 2007

fine analisi storiografica


Ecco, queste sono le cose che mi fanno venire i rigurgiti di comunismo.
Su Italia Uno trasmettono "Anastasia" (il cartone), in cui la rivoluzione d'ottobre è presentata come opera del diavolo a cui Rasputin ha venduto l'anima: citazione letterale (a parlare è la nonna di Anastasia, la mamma dello Zar, quindi, e parla nel 1916, con la Russia in guerra, ma nel cartone si sono visti solo "splendidi palazzi e sontuosi ricevimenti"): "a causa del suo odio per la famiglia dei Romanoff , Rasputin arrivò a vendere la sua anima al diavolo. Da quel momento, la scintilla dell'insoddisfazione iniziò a divampare come una fiamma del nostro paese".
Certo.
Prima che Rasputin vendesse l'anima al diavolo, invece, in Russia erano tutti contenti.

lunedì 3 settembre 2007

l'osservatorio su cronaca qui

è da un pò che non inserisco notizie tratte dal mio quotidiano preferito. Proprio oggi però, un anonimo ha disapprovato la mia facile ironia su cronaca vera/cronaca qui. La cosa mi ha stupito/divertito abbastanza, anche perché raramente mi sento capace di suscitare tanta acrimònia. comunque, la mia reazione classica/istintiva alle critiche di solito consiste nel continuare a fare quello per cui vengo rimproverato, ma con più gusto. Le "notizie" che vi offro oggi sono tratte dalla prima pagina dell'edizione del 24 agosto. La storia di capitan Findus è raggelante (sembra che il pover uomo si vesta da capitano anche nella sua vita privata, come un Bela Lugosi de noartri), ma quella delle porno-avvocatesse con i super-dildo è più divertente.


l'amore a Lizzano

a pochi metri da "nessun killer ucciderà il nostro amore", l'altra faccia dell'amore a Lizzano.