venerdì 25 maggio 2007

sono indeciso


ho appena scoperto tre nuove religioni a cui poter aderire.
Sono tutte e tre molto belle, la prima ha una sfumatura gay-friendly che mi sembra la renda molto cool, ed è quella del leggendario ed invisibile unicorno rosa (Invisible Pink Unicorn, IPU per gli amici), una religione molto seria, perchè fondata sulla scienza (che stabilisce che siccome è invisibile, l'unicorno rosa non può essere visto) e sulla fede (comunque i fedeli credono nella sua esistenza). Il leggendario unicorno invisibile benchè rosa è, come molte altre divinità, immortale e indistruttibile benché quasi sicuramente inesistente. Questo è il bellissimo simbolo di questa strabiliante scelta devozionale (la scelta fra queste religioni, già lo so, sarà quasi esclusivamente basata su motivazioni estetiche) (n.b. carico solo l'immagine di un tatuaggio sul corpo di un fedele, il sistema non so perchè non mi fa caricare le immagini gif):
Quello in alto a sinistra è invece J.R. "Bob" Dodds, divinità della chiesa del Subgenio, chiesa postmoderna il cui scopo viene così descritto:
"The Church Of The SubGenius is an order of Scoffers and Blasphemers, dedicated to Total Slack, delving into Mockery Science, Sadofuturistics, Megaphysics, Scatalography, Schizophreniatrics, Morealism, Sarcastrophy, Cynisacreligion, Apocolyptionomy, ESPectorationalism, Hypno-Pediatrics, Subliminalism, Satyriology, Disto-Utopianity, Sardonicology, Fascetiouism, Ridiculophagy, and Miscellatheistic Theology."
La descrizione mette il buonumore, e sapere che lo stesso Frank Zappa (che è più o meno l'unica divinità, insieme a John Lennon, in cui ogni tanto mi sento di credere... ma in Frank Zappa credo di più comunque) si è detto un seguace delle regole di questa chiesa fa pendere l'ago della bilancia a suo favore. Il sito della chiesa ha inoltre una strabiliante sezione (art mines) in cui i fedeli aggiungono la propria interpretazione di BOB. ecco alcuni meravigliosi esempi (tra l'altro, ora so anche cosa disegnare nei prossimi giorni):

La chiesa del Subgenio è una forma sincretica e un'eresia (altri punti a suo favore) del Discordianism, che però mi sembra troppo fighetta e seria e quindi la lascierò da parte, per ora.
Ora passerò la prossima settimana, in cui sarò di stanza a Milano, a decidere a quale delle due religioni aderire. Devo dire però che la chiesa del Subgenio per ora vince ai punti.

mercoledì 23 maggio 2007

The Nightwatchman "One Man Revolution"


La possibilità di una mia recensione imparziale al disco del progetto solista di Tom Morello (già chitarrista dei Rage Against the Machine e degli Audioslave) è durata circa due minuti e mezzo.
Dopo tale lasso di tempo sono entrato, incuriosito ma già con una pulce ballonzolante nell'orecchio, nel forum dedicato alla "Nightwatchman Brigade". Poco male: in quel breve lasso di tempo avevo già avuto modo di ascoltare (grazie allo streaming sul sito, unica cosa lodevole) la canzone che da il titolo all'album e che, per una forma di strana coerenza, è forse quella con il peggior testo e, sicuramente, quella musicalmente più BRUTTA.
Il disco, "canzoni di amarezza e vendetta in risposta ad un mondo in tumulto" - così lo presenta la casa discografica - è sostanzialmente composto di ballate e inni (ma la parola inglese rende di più l'idea: anthem) per chitarra acustica e voce: un genere in cui è difficile produrre qualcosa di davvero brutto, ma in cui è difficile allo stesso modo svettare. E Tom Morello, per svettare non fa nulla: standard la voce, standard le parti di chitarra, standard gli occasionali e scarni arrangiamenti. Ogni tanto si fa notare una melodia particolarmente poco indovinata, un ritornello particolarmente poco azzeccato, un testo particolarmente qualunquista.
(I testi quando va bene rimangono sempre al livello: "ok Tom, hai detto una cosa più o meno di sinistra e gggiovane: non posso dissentire senza sembrare cattivo, ma più che dire che i capitalisti sono cattivi e tu sei contro, che si fa? Barricate? Volantinaggio? Si espatria? O si suona e si canta e si va in giro a fare il comunista all'americana?", nel peggiore dei casi vagheggiano soluzioni luddiste, senza indicare veri obiettivi, non sia mai che qualcuno le prenda sul serio e poi qualcun altro faccia causa alla Sony-BMG)
Il problema però, come accennato all'inizio della recensione, è la Nightwatchman Brigade: il sito le presenta come una forma di ribellione anarchica/organizzata, un infiltrarsi nel sistema mediatico per sovvertirlo dall'interno, una forma di subadvertising, quasi. Ecco come viene presentata, l'inglese è elementare e non credo sia necessaria una traduzione:

"If You Take A Step Towards Freedom, Freedom Will Take Two Steps Towards You.

The few. The proud. The Nightwatchman Brigade. An elite cadre of dedicated subversives. Your mission will be neither easy nor safe. Infiltrate the media, rally the faithful, resist the forces of reaction, and wield the audio ammunition of The Nightwatchman as a battering ram for Social Justice. How? By Any Means Necessary. What's at stake? Everything. This is not a dress rehearsal. Desperate times demand desperate measures, desperate music. The Future Is Unwritten. And from this moment forward: History Is Yours To Make"

Un indistinto noi darà agli iscritti (I pochi! gli orgoliosi!) dei compiti (" We'll give the Brigade members a couple of tasks at the end of the week") e la brigata eseguirà e farà rapporto. Quindi: struttura paramilitare inzuppata in un'estetica da anarchico di primo novecento. Fremo dalla curiosità per sapere quali sono i compiti e.... tenetevi forte: fare pubblicità al disco! parlarne in giro, chiamare le radio e chiedere di passarne le canzoni, controllare che lo facciano e nel caso richiamare ("don't be shy about calling the radio stations and asking to hear The Nightwatchman. Then let us know where you called, what you requested and if it was played or not. You can also go to the record stores and ask about the album"): la seconda missione è ancora più pericolosa: disegnare un banner per promuovere il gruppo! E quelli bravi riceveranno una copia del disco in regalo! Autografata! (Make a banner promoting the Nightwtchman- mention the Brigade and get brownie points from us. We'll post the best banner on the Nightwatchman's myspace site and here on the message board. They'll also sreceive a signed copy of 'One Man Revolution')
Accidenti, questo sì che è fare la rivoluzione.

Tre alla musica, meno venti all'idea. Quanto fa di media?

martedì 22 maggio 2007

invia un sms alla madonna!


lo so che non si prende in giro quello in cui crede la gente, ma questo banner sul sito grafica pastorale (e già il nome...) mi ha fatto morire dalle risate...

lunedì 21 maggio 2007

"M", come se fosse abbastanza.

Stamattina ho comprato l'Unità solo perchè sapevo che ci sarebbe stato in allegato (con un sovrapprezzo di ben 1 euro, per numero 7 fogli di carta ripiegati) il "secondo numero zero" di M, il nuovo inserto satirico. Sapevo benissimo che non poteva essere un nuovo Cuore e in realtà ricordo anche che i primi numeri di Cuore non fossero granchè, almeno rispetto a ciò che sarebbero diventati.
Però. Però. In tutto l'inserto non mi ha fatto ridere praticamente niente. Si salvano il titolo della copertina (Hasta la ostia siempre), la vignetta interna in stile "giornale illustrato anni '30" su Angius, Mussi e il PD, e la finta pubblicità finale con Mastella e Papa Ratzi (Passa a Vatincanfone: Life is Now).
Ah: e Staino, che mi piace sempre.

Mi sembra un pò pochino, soprattutto con i mezzi dell'unità e con tutta la gente in giro - e in rete - capaci di far ridere (e che invidio fortissimamente: non sono proprio capace di scrivere cose divertenti, mi chiedo anzi come sia possibile farlo) e, probabilmente, arruolabili a costo zero: basterebbero giusto due o tre persone capaci di fare ricerche su internet.

Arctic Monkeys "Favourite Worst Nightmare"



















Il primo disco degli Arctic Monkeys, era un bel mix di sfacciataggine giovanilistica, bei riff e bei ritmi, ritornelli catchy come servono per essere passati nelle discoteche rock, e una voce fastidiosa quanto basta per essere inseriti fra le band indie dagli sprovveduti.
Un disco molto carino, nonostante tutto, con alcune canzoni che non evito mai, quando lo shuffle me le propina, ma che difficilmente vado a cercarmi quando voglio ascoltare qualcosa.
Devo dire quindi che non aspettavo con impazienza l'uscita del secondo capitolo, nè tantomeno nutrivo quei sentimenti da "vediamo se sono capaci di salvare il roccheerroll" oppure "vediamo se sono rimasti duri e puri com'erano all'inizio o se si sono venduti anche loro".
(Parentesi: che cazzo lo fai a fare un disco se non vuoi venderti? credo a malapena ai cantautori come possibili tipi dell'artista maledetto, figuriamoci se quattro ventenni che vogliono solo scopare e fare casino si mettono a suonare assieme per esprimere il proprio tedio esistenziale o per fare dell'arte immortale. L'unico scopo per cui formare un gruppo e suonare sono le groupies, è per quello che ci sono migliaia di suonatori di chitarra, e pochissimi di corno inglese. Detto questo: puoi vendere roba scadente, decente, buona o meravigliosa, è l'unica differenza possibile. Chiusa parentesi).
Dunque: non mi aspettavo nulla da questi quattro ventenni arrapati, e il singolo Brianstorm mi ha piacevolmente stupito: bello, tirato, con suoni di chitarra finalmente decenti, con un cantante che si lagna molto meno di prima e, soprattutto, con una sezione ritmica compatta e potente, di quelle che parlano direttamente al testosterone di noi maschietti (la controprova: ho sottoposto la mia ragazza qualche ascolto e mi ha sempre guardato con l'espressione "embè?" oppure si è distratta entro i primi venti secondi, mentre io cercavo di dirle: ma senti la batteria! senti il basso!). Il resto del disco non tiene alta la tensione allo stesso modo: gli Arctic Monkeys hanno deciso di inserire delle simil-ballate (only oness who knows, non eccezionali nè tantomeno originali), e non tutti i pezzi sono del livello del singolo. Si salvano - benché meno diretti - i primi quattro brani, Brianstorm compreso, che se fossero usciti come ep avrebbero fatto gridare al miracolo (teddy pickler, d is for dangerous, balaclava)- e l'ultimo pezzo, 505, questo sì, davvero BELLO. Per il resto si naviga a vista, si riempiono i tre minuti della forma canzone classica nel modo meno faticoso possibile, e si porta a casa la pagnotta.
Ovviamente per apprezzare il tutto sono necessari alcuni accorgimenti: mentre si ascolta il disco fare qualcos'altro che tenga libero il 20% della vostra attenzione(505 esclusa, quella si può anche ascoltarla e basta), far finta di non conoscere l'inglese e non cercare i testi sul sito ufficiale, non credere più alla possibilità che arrivi qualcuno a salvare il roccheerolle (sia che lo si dia per morto, sia che si pensi che non c'è bisogno di salvarlo).
Buon divertimento!
"La ragione vince sempre le scaramucce, ma mai una battaglia che conti"
(Gesualdo Bufalino, "Qui pro quo")

venerdì 18 maggio 2007

Mervyn Peake "Tito di Gormenghast"


Titus Groan ("Tito di Gormenghast" nella traduzione italiana), è il primo volume di una trilogia di cui solo i primi due capitoli sono stati tradotti in Italia (Adelphi, nella bella traduzione di Anna Rovano), opera del pittore e scrittore Mervyn Peake.
Il primo volume racconta i primi due anni di vita di Tito, figlio di Sepulcrio, settanteseisimo conte di Gormenghast, una sorta di castello-città, fatiscente e sconfinato, misterioso e quasi - come si intuisce alla fine del volume - vivo, ma in realtà il vero nucleo narrativo è la scalata verso il potere di Ferraguzzo, ambigua figura tra il malvagio e l'infantile, tra il rivoluzionario e l'arrivista. Ferraguzzo salirà, nel corso del racconto, dalla condizione di sguattero nelle cucine dell'obesissimo Sugna a quella di apprendista di Barbacane, il custode dei complicatissimi riti che regolano ogni attività del castello da tempo immemorabile. Sempre Ferraguzzo sarà la causa dell'incendio alla biblioteca di Gormenghast, evento che porterà alla pazzia e alla morte il già atrabilioso conte Sepulcrio, cui seguirà la consacrazione di Tito a soli due anni come settantasettesimo conte, evento con cui si chiude il primo volume.
L'intero racconto è però basato sul castello stesso e sulla rupe omonima che lo sovrasta, e sulle regole che sono alla base della tradizione che ogni conte De' Lamenti (Groan, nell'originale) deve impeccabilmente seguire. L'abilità di Peake risiede nella capacità di istituire una rete di connessioni tra i personaggi e lo sfondo, fatto di luoghi e soprattutto di riti e tradizioni, una rete che rimane sempre opaca: le regole del castello, per quanto ridicole ed evidentemente - all'interno della stessa narrazione - frutto di convezioni storiche sclerotizzate, hanno intorno a sè un'aura di sacralità che ci fa sembrare assolutamente normale e giusto che i personaggi del libro vivano, soffrano e addirittura muoiano per difenderle. Tito, che nel libro rappresenta innanzitutto il cambiamento, è allo stesso tempo il simbolo della continuità della stirpe. Ferraguzzo, l'intrigante, l'arrivista, colui che "non ha rispetto per le tradizioni", è l'unico, oltre al conte Sepulcrio, a percepire davvero l'importanza della biblioteca (cosa che non gli impedisce di essere causa del suo incendio) e della tradizione (che invece Barbacane e il suo predecessore Agrimonio seguono in modo meccanico), ed è l'unico che davvero si avvicini alla comprensione di cosa è il castello, l'unico capace di esplorarlo. Nemmeno dal punto di vista morale la figura di Ferraguzzo è chiara: è certamente privo di scrupoli e ambizioso, ma è anche in possesso di una sua strana etica (e benchè sia un solitario, rimane in mente la pagina in cui stacca a una ad una le zampe di un cervo volante dicendo sussurrando "l'eguaglianza è tutto!", e per un attimo balza alla mente la possibilità di una lettura antisovietica, che però non si riesce a intravedere in nessun altro punto del libro). Ancora più complessi alcuni personaggi minori: il dottor Floristrazio e la contessa, gli unici a non fidarsi di Ferraguzzo, le sorelle del conte, la contessina Fucsia, il cuoco Sugna e il domestico Lisca, nemesi l'uno dell'altro, che combatteranno all'ultimo sangue in alcune delle pagine più belle del libro. Tutti personaggi, dai nomi non a caso Dickensiani, si muovono sullo sfondo del castello, e la scrittura sembra seguire l'irrazionalità architettonica del castello stesso, labirintica, immaginifica, ridondante, composta da metafore e similitudini antinaturalistiche che si accavallano, diverse e a volte discordanti negli stessi paragrafi: la connessione tra il castello e lo stile di Peake è così evidente che quest'ultimo è meno convincente solo nelle poche pagine che narrano avvenimenti esterni ad esso.
Per tutto il volume quindi, si crea l'immagine di un mondo totalmente altro dal nostro, basato su riti e sentimenti che ci sono solo in parte comprensibili, ma assolutamente coerente e credibile, fino ad arrivare alla rivelazione, proprio nelle ultime pagine (che Anthony Burgess, nella prefazione alla traduzione italiana, trova eccessive: e detto da lui mi sembra un complimento, volontario o meno che esso sia), della connessione tra Tito e il castello, che ricomincia a respirare quando il settansettesimo conte, appena investito della sua carica, rientra in esso:
"Ecco, ancora un poco e sarà l'alba, in un incendio verde, e l'amore stesso si ergerà a lanciare il grido dell'insurrezione! Perché domani è un giorno nuovo - e Tito è entrato nella sua fortezza."

rettifica: da shakespeare alla parola "fuck"

Un'informazione utile però, Lavia Senior e Junior (a lui e al suo bellissimo cane vanno tutta la mia simpatia) durante l'incontro con il pubblico, l'hanno fornita: sembra che "fuck" (fottere) derivi dal permesso affisso in Inghilterra sulle porte dei bordelli autorizzati (Fornication Under Control of King). Non ho ancora avuto il tempo di controllare se la cosa corrisponde a realtà o se è solo una leggenda urbana: per il momento continuo a riderci su.

Aggiunta:
Se è una leggenda urbana fa il paio con quella che vuole che in Toscana il preservativo si chiami "goldone" perché i primi portati dai soldati americani erano di marca "Gold One".
Più localmente: a Monteiasi (Ta), i vecchietti chiamano la batteria "Iazzi-banni": è una parola che in paesini distanti anche 5 km non esiste. Dopo un bel pò di indagini abbiamo capito che proviene dalla scritta Jazz Band sulle batterie portate dalle truppe americane durante la seconda guerra mondiale.

soluzione:
wikypedia mi informa che si tratta di una leggenda urbana (e non è l'unica: quella relativa all'etimologia di fuckin è ancora più bella), e che dell'acronimo citato da Lavia non ci sono testimonianze anteriori al 1960.

mercoledì 16 maggio 2007

non ce la posso proprio fare

volevo recensire l'allestimento di Gabriele Lavia di Misura per misura di William Shakespeare (rappresentato a Pisa ieri, 15 maggio) ma mi sono reso conto di non potercela fare: di teatro non ne so abbastanza per dire di più che, a parte le scenografie e la recitazione di alcuni attori (Lavia senior assolutamente non compreso), lo spettacolo mi è sembrato pessimo, piatto nelle scene che dovevano essere comiche e urlato in tutte le altre, che le sfumature del testo di Shakespeare (sull'autorità, la legge, il perdono) anziché essere valorizzate dalla messa in scena erano (volutamente, a quanto a detto Lavia oggi incontrando il pubblico a Pisa) messe in secondo piano dalla sola, e piuttosto scontata, riflessione sulla morte; che la dinamica dei rapporti Isabella/Angelo/Duca oscillava tra il morboso e l'isterico, senza mai essere né interessante né erotica....
vabbè, volevo solo dire che mi immagino il lavoro che c'è dietro e ho simpatia per la testardaggine di chi fa teatro e di chi si prende la terribile responsabilità di mettere in scena testi come quelli shakespeariani, ma questo spettacolo proprio non mi riesce di recensirlo senza scadere nell'invettiva.
Ma credo che questo, alla fine, si sia capito.

lunedì 14 maggio 2007

michel houellebecq "h. p. lovecraft. contro il mondo, contro la vita"

(appunti sparsi su una lettura frettolosa e frenetica)

Il saggio di Michel Houellebecq (d'ora in avanti: MH.: troppo faticoso da scrivere ogni volta, e il copia e incolla è stategia a cui non mi abbasso), parte dalla constatazione, molto poco accademica, che l'arte in generale, e quella di Lovecraft in particolare (dato per scontato che d'arte possiamo parlare, ché qui non siamo in un fine cenacolo di intellettuali dediti solo alla robba seria), sia destinata a chi, della vita, ne abbia un po' le palle piene.
I racconti di Lovecraft partono dal rifiuto della vita, dal rifiuto di ogni realismo. Nei suoi racconti, nota MH, mancano del tutto gli elementi del sesso e del denaro, entità non oggetto di rimozione, ma di vera e propria esclusione volontaria dall'universo artistico dell'autore.
La strategia di Lovecraft è quella dell'astrazione e della freddezza: l'orrore non è quello delle piccole cose, non è quel riconoscimento di ciò che è familiare nell'estraneo (e viceversa) che Freud metteva alla base del sentimento del perturbante nel suo saggio sull'Uomo della Sabbia di E. T. A. Hoffmann: il sentimento di orrore che Lovecraft vuole ispirare è un sentimento cosmico che investe l'umanità in quanto razza e il suo posto, effimero e ridicolo, nell'ordine delle cose.
La base del terrore è nella razionalità stessa, ed è per questo che non abbiamo mezzi per fronteggiarlo. L'assoluta fiducia nella ragione è il motivo per cui Lovecraft inventa i suoi universi e - mi sembra - è anche il motivo per cui MH ne è così affascinato, essendo la sua visione identica a quella del solitario di Providence: "ogni razionalismo tende a minimizzare il valore e l'importanza della vita, e a diminuire la quantità totale della felicità umana. In un gran numero di casi la verità può portare al suicidio, o quantomeno determinare una depressione quasi suicida."

O, come dice lo stesso MH in una frase che incornicerei se non avessi avuto un'infazia così strepitosamente felice: "Solo l'egoismo esiste. Freddo, intatto e radioso".
Anzi: la incornicio proprio perché ho avuto un'infanzia così strepitosamente felice.

Il saggio di Houellebecq è affilato come il bisturi linguistico che Lovecraft utilizza per dissezionare e descrivere i grandi antichi quando ancora si spera che essi siano morti per sempre: va a fondo della questione fondamentale, cioè del perchè Lovecraft ci tiene incollati al suo mondo e riesca, magari solo per un attimo, a renderlo più reale - più spaventoso, più presente, non più coerente né logico - del nostro.

MH è un moralista: non riesce, come fa Lovecraft, a non occuparsi della realtà: la realtà lo disgusta, e lui la tratta come un cadavere, usando i soli strumenti della dissezione e dell'osservazione per raccontarla. Il linguaggio scientifico nella prosa di MH è distanza, ma anche referto di un'autopsia, verdetto - negativo, va da sè - sul mondo presente e futuro.

In questo saggio MH riesce ancora a non dare l'impressione di essere, come dice il mio amico Fabrizio Bondi, il Fantozzi della letteratura francese (definizione su cui mi permetto di dissentire, ma che non smette di farmi ridere): attraverso lo specchio della pagina lovercraftiana, MH si avvicina al cuore dell'involuzione e dell'inaridirsi del suo stesso mondo. Le architetture "ciclopiche e demenziali" immaginate da Lovecraft, MH le trasferisce all'interno dei rapporti umani, le vede nei rapporti di forza legati al sesso (anche MH, però, si occupa poco del denaro: i suoi protagonisti riescono abbastanza facilmente a districarsi nel mondo economico, a volte persino con l'espediente volutamente pacchiano dell'eredità ricevuta in modo inaspettato), nella relazione con l'altro caratterizzata, in entrambi gli autori, dal solo disprezzo per ciò che è diverso.

(su questo libro mi piacerebbe scrivere qualcosa di più pensato o organico, ma per adesso mi limito a buttare giù quello che mi viene in mente. Comunque, lettura consigliata caldamente, anche come esempio di come si può scrivere un saggio senza nessuno dei difetti dell'accademia. Magari con molti altri, ma senza nessuno di quelli.)

da cronaca vera a cronaca qui

un paio di mesi fa, spinto dalla nostalgia, ho acquistato una copia di cronaca vera, mitico prodotto dell'editoria italiana che aveva allietato tutti i pomeriggi dal parrucchiere della mia infanzia: già pregustavo la rubrica di lettere al sessuologo, l'angolo del mistero, il raccontino sconcio a metà numero, ma soprattutto le storie, folli o semplicemente ridicole, e soprattutto i titoli a corredo.
è stata una delusione enorme: niente sessuologo, niente raccontino, niente paranormale, e storie quasi normali, alcune persino edificanti.
ho pensato che forse l'italia non è più un paese in cui un prodotto come cronaca vera può avere un suo mercato (per fortuna); poi, durante la mia visita quindicinale a Milano, ecco l'inaspettato: è appena nato Cronaca qui, e scopro che i colori della testata (scritta nera su fondo giallo!) non sono un richiamo casuale a cronaca vera: con ogni probabilità la redazione di quest'ultima si è trasferita in blocco nella nuova avventura editoriale.
A conferma ecco due dei sobri titoli all'interno della copia che mi è arrivata (gratuitamente) in mano:

giovedì 10 maggio 2007

una saga pisana...

una delle mie scritte murali pisane preferite di sempre:


Inoltre, un'ignota mano ha vergato il secondo capitolo di questa storia immortale e immorale.

mercoledì 9 maggio 2007


sono un pò seccato dalle limitazioni che flickr da agli account "free", e mi sono deciso a provare questo coso che si chiama fotolog e che mi sembra addirittura peggio degli altri cloni di flickr in giro per la rete... per lo meno: la grafica è orrenda.
Però consente il permalink alle foto (cioè: alla foto, se ne può postare massimo una al giorno) e ho deciso di usarlo per una parte delle foto che metterò (speriamo) su questo blog. (Sempre che io lo mantenga vivo).
La prima foto, l'unica che avessi al lavoro, è questa vecchia foto di Ugolino che guarda un mio disegno/seduta di autoanalisi.
La prossima volta metto qualcosa di - almeno - a fuoco, giuro.

update: ecco, infatti non mi visualizza una - per dirla con un francesismo - sega.
proviamo con un permalink da flikr, anzi con la procedura che il signor flickr stesso mi suggerisce:


diego. e petra

vabbè me ne visualizza mezza. proviamo così:

mmmm c'è ancora qualcosa che non va... sarò impedito io? la foto me l'ha messa in cima, accanto alla finta foto su fotoblog, provo a spostarla (questo post è un delirio, lo so). Ah, ecco, ora va. Sono soddisfazioni.

lunedì 7 maggio 2007

Bright Eyes "Cassadaga"

Recensire l'ultimo disco di Conor Oberst è un problema: i Bright Eyes che amo sono quelli che, quando la funzione shuffle me li propina, mi costringono ad interrompere ogni attività in corso, e ad ascoltare un adolescente stonato che chiacchiera dei fatti suoi e a commuovermi, in sovrappiù, come se avessi ancora diciott'anni anch'io. Come si fa a recensire il disco di quell'adolescente, che nel frattempo è diventato adulto e non ha nessuna intenzione di nasconderlo? Che scrive i suoi testi in maniera totalmente diversa e che continua a stonare ma su arrangiamenti adesso curatissimi? Ad amare Digital Ash in a Digital Urn e I'm Wide Awake, It's Morning ci ho messo un bel pò, e Cassadaga non ci sta mettendo di meno a farsi apprezzare. Però al fatto che Conor Oberst sia cresciuto mi sono rassegnato, ha più o meno la mia età e se continuasse a scrivere come scriveva ai tempi di Fevers and Mirrors temo mi farebbe soltanto tenerezza. Ora invece ogni tanto potrebbe contenere il livello degli zuccheri (Make a Plan to Love Me) ma quando mischia fatti suoi, immagini bibliche e citazioni da Yeats (Four Winds) mi fa pensare che c'è un futuro, che questa sorta di classicità "country" è qualcosa attraverso cui ogni grande cantautore americano deve passare, prima o poi, come l'esempio di Will Oldham dimostra, e se la cosa intanto da risultati degni di nota (Soul Singer in a Session Band, Classic Cars) o addirittura superlativi (Middleman e No One Would Riot For Less, premio per la canzone col miglior titolo in questi primi mesi del 2007) in fondo possiamo aspettarci ancora altri buoni album per il futuro, e magari un capolavoro come Fevers e Mirrors, ma totalmente diverso; che aver perso un cantante che raccontava storie interminabili per uno che abbozza sensazioni in testi che non sono ancora sempre perfettamente a fuoco può anche andare bene, che il cantautore "nuovo" alla fine sembra bravo pure lui, anche se le sue canzoni non si stampano in testa al prima ascolto e hanno bisogno di tempo per farsi cantare con calore.
Un buon disco: se non fosse stato dei Bright Eyes forse non l'avrei ascoltato fino a farmelo piacere, ma se non fosse stato dei Bright Eyes forse a quest'ora mi piacerebbe molto di più.

domenica 6 maggio 2007

arbasino è (o perlomeno: era) un genio

"...Non per nulla: un migliaio di parlamentari poco 'pratici' di cose 'tecniche', impegnati per lo più a confondere i pochissimi 'tecnici' di cose 'pratiche'."

"Un partito né di lotta né di governo: condurre una doppia vita, e stupide tutte e due."

"Ma quelli che non hanno fatto Anni di Formazione né Viaggi d'Apprendistato, che cosa avranno fatto?"

"Letterati regionali e stagionali: sapere tutte le telefonate del sottobosco letterario di stamattina, e non aver mai letto per intero neanche un romanzo di Balzac o di James"

Da Un paese senza di Alberto Arbasino, 1980. Leggete e diffondete, per piacere (anche se fa impressione vedere quanto poco è cambiata l'Italia negli ultimi 27 anni. No, mi sbaglio, forse è peggiorata).

Socrate e Santippe

Sto leggendo il "De Utilitate Ex Adversis Capienda" di Girolamo Cardano, e a pagina 20 (Opera Omnia, vol. II) ci trovo l'unica spiegazione convincente della morte di Socrate: in realtà Socrate si è suicidato perché non ce la faceva più a sopportare quella rompicazzo di Santippe.
Mi sembra che non faccia una piega.

giusto per la faccenda della nostalgia....

qualche vecchia foto:
io con molti più capelli e una delle mie magliette preferite (mie in senso proprio, di quelle fatte da me), enrico più o meno identico a com'è adesso, e :fa: in una delle sue rare serate grottagliesi, ma molto più magro di quanto mi dicono sia diventato in quel di Roma.



e una foto di gruppo, che non fa mai male. con flirt metal di giampiero sullo sfondo.
è da pasqua che continuo a sognare i miei vecchi amici grottagliesi. Soprattutto Enrico e William, ma anche Piero Mariella e Tiziano. Nei sogni rimugino su incontri improbabili, casuali, che si chiudono con il temporaneo ritrovamento di quella vecchia amicizia: persino in sogno so benissimo che ormai siamo cresciuti in modi fin troppo differenti per poter mai più tornare ad avere quel rapporto che avevamo un tempo. Per poter fare qualcosa di più che aggiornarci davanti ad una birra su quello che siamo diventati e chiacchierare di quello che eravamo.
Ma è proprio questo livello minimo, quello che mi manca.
mi chiedo se ogni tanto ci pensino anche loro. in fondo anche a me capita di pensarci più di frequente da pochissimo tempo. Forse perché so che la mia vita cambierà nei prossimi mesi, e mi piacerebbe averli, anche solo idealmente, vicini.