lunedì 14 maggio 2007

michel houellebecq "h. p. lovecraft. contro il mondo, contro la vita"

(appunti sparsi su una lettura frettolosa e frenetica)

Il saggio di Michel Houellebecq (d'ora in avanti: MH.: troppo faticoso da scrivere ogni volta, e il copia e incolla è stategia a cui non mi abbasso), parte dalla constatazione, molto poco accademica, che l'arte in generale, e quella di Lovecraft in particolare (dato per scontato che d'arte possiamo parlare, ché qui non siamo in un fine cenacolo di intellettuali dediti solo alla robba seria), sia destinata a chi, della vita, ne abbia un po' le palle piene.
I racconti di Lovecraft partono dal rifiuto della vita, dal rifiuto di ogni realismo. Nei suoi racconti, nota MH, mancano del tutto gli elementi del sesso e del denaro, entità non oggetto di rimozione, ma di vera e propria esclusione volontaria dall'universo artistico dell'autore.
La strategia di Lovecraft è quella dell'astrazione e della freddezza: l'orrore non è quello delle piccole cose, non è quel riconoscimento di ciò che è familiare nell'estraneo (e viceversa) che Freud metteva alla base del sentimento del perturbante nel suo saggio sull'Uomo della Sabbia di E. T. A. Hoffmann: il sentimento di orrore che Lovecraft vuole ispirare è un sentimento cosmico che investe l'umanità in quanto razza e il suo posto, effimero e ridicolo, nell'ordine delle cose.
La base del terrore è nella razionalità stessa, ed è per questo che non abbiamo mezzi per fronteggiarlo. L'assoluta fiducia nella ragione è il motivo per cui Lovecraft inventa i suoi universi e - mi sembra - è anche il motivo per cui MH ne è così affascinato, essendo la sua visione identica a quella del solitario di Providence: "ogni razionalismo tende a minimizzare il valore e l'importanza della vita, e a diminuire la quantità totale della felicità umana. In un gran numero di casi la verità può portare al suicidio, o quantomeno determinare una depressione quasi suicida."

O, come dice lo stesso MH in una frase che incornicerei se non avessi avuto un'infazia così strepitosamente felice: "Solo l'egoismo esiste. Freddo, intatto e radioso".
Anzi: la incornicio proprio perché ho avuto un'infanzia così strepitosamente felice.

Il saggio di Houellebecq è affilato come il bisturi linguistico che Lovecraft utilizza per dissezionare e descrivere i grandi antichi quando ancora si spera che essi siano morti per sempre: va a fondo della questione fondamentale, cioè del perchè Lovecraft ci tiene incollati al suo mondo e riesca, magari solo per un attimo, a renderlo più reale - più spaventoso, più presente, non più coerente né logico - del nostro.

MH è un moralista: non riesce, come fa Lovecraft, a non occuparsi della realtà: la realtà lo disgusta, e lui la tratta come un cadavere, usando i soli strumenti della dissezione e dell'osservazione per raccontarla. Il linguaggio scientifico nella prosa di MH è distanza, ma anche referto di un'autopsia, verdetto - negativo, va da sè - sul mondo presente e futuro.

In questo saggio MH riesce ancora a non dare l'impressione di essere, come dice il mio amico Fabrizio Bondi, il Fantozzi della letteratura francese (definizione su cui mi permetto di dissentire, ma che non smette di farmi ridere): attraverso lo specchio della pagina lovercraftiana, MH si avvicina al cuore dell'involuzione e dell'inaridirsi del suo stesso mondo. Le architetture "ciclopiche e demenziali" immaginate da Lovecraft, MH le trasferisce all'interno dei rapporti umani, le vede nei rapporti di forza legati al sesso (anche MH, però, si occupa poco del denaro: i suoi protagonisti riescono abbastanza facilmente a districarsi nel mondo economico, a volte persino con l'espediente volutamente pacchiano dell'eredità ricevuta in modo inaspettato), nella relazione con l'altro caratterizzata, in entrambi gli autori, dal solo disprezzo per ciò che è diverso.

(su questo libro mi piacerebbe scrivere qualcosa di più pensato o organico, ma per adesso mi limito a buttare giù quello che mi viene in mente. Comunque, lettura consigliata caldamente, anche come esempio di come si può scrivere un saggio senza nessuno dei difetti dell'accademia. Magari con molti altri, ma senza nessuno di quelli.)

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