venerdì 15 giugno 2007

Shellac "Excellent Italian Greyhound"


Da due giorni consento a Steve Albini e Co. di picchiarmi fortissimo nelle orecchie.
Prima di ascoltare il disco ho aspettato, un pò per il gusto infantile di dilazionare il momento in cui si scartano i regali, un pò per il timore che invece di una conferma mi aspettasse una delusione. Eppure, i dischi degli Shellac si comprano a scatola chiusa: Steve Albini è uno dei pochi ad aver tolto alla musica che fa, e al modo in cui la diffonde, tutti gli orpelli inutili. Lui, Todd Trainer (Batteria) e Bob Weston (basso) si prendono il tempo necessario, fanno crescere le canzoni nei rari live, fanno il proprio lavoro di produttori e ingegneri del suono, e sette anni dopo aver pubblicato un capolavoro, ne fanno un altro, e se l'avessero fatto due anni fa o tra cinque sarebbe stato lo stesso. L'urgenza espressiva dei tre, la loro furia, il rigore matematico (sempre sul punto di infrangersi) dei loro pezzi, rimangono sempre gli stessi.
Il disco si apre con "The End of Radio", in cui Albini, ultimo Dj (e ultimo uomo?) sulla faccia della terra dirige la trasmissione di commiato ad una ormai inesitente platea, in un lunghissimo e ipnotico addio scandito dalla frase "Can you hear me now?" urlata con sempre più violenza. Il secondo brano ("Steady ad She Goes") è un punk più tirato, veloce e violento. Con il terzo brano iniziano gli esperimenti di Albini e co.: per quanto tempo si può promettere ad un ascoltatore di dargli uno stacco o un'apertura, di concludere un riff, di iniziare una canzone e non farlo? Quanto silenzio si può inserire in una canzone al centro di un album? Sono queste alcune delle domande a cui questo disco cerca di rispondere; "Be Prepared" gioca con l'ascoltatore come il gatto con il topo, facendogli aspettare il momento in cui chitarra e batteria si scateneranno, e lo fanno aspettare finchè il gioco può reggere, "Genuine Lulabelle" nei suoi nove minuti e diciassette secondi (chiusi da uno strano inserto in italiano...) comprende un lungo monologo e frammento da crooner di uno stralunato Albini che esplora i confini di quanto si può essere spiacevoli in un pezzo e piacerà a pochi, e anche chi lo apprezzerà non lo ascolterà troppo spesso.
"Kittypants" e "Paco" sono due ottimi strumentali che non aggiungono nulla alla stoia degli Shellac, "Boycott" sembra un innocuo pezzo punk ma nei suoi due minuti riserva più d'una sorpresa. "Spoke", violenta, urlata e velocissima è aperta da una sorta di jingle pubblicitario: che sia l'ultima canzone trasmessa dal Dj Albini ad un'umanità ormai defunta?
Un disco bellissimo, rabbioso e sgradevole, che entra sottopelle immediatamente e che non abbandona le orecchie frastornate dall'ascoltatore, suoni e incastri perfetti ma sempre in bilico sulla pazzia e il disordine, la dissonanza e il silenzio.
Il massimo dei voti.
(Anche per la copertina, checché se ne dica...)

Nessun commento: