martedì 30 novembre 2010

affastelli, prego!


affastellare personaggi come attività compulsivo-compensatoria durante le riunioni troppo lunghe
(altro disegnino automatico di ieri)
(mi sono solo adesso accorto che quasi tutti hanno un'espressione basita - F4)
(tranne Voldemort, ovviamente)

lunedì 29 novembre 2010

Un po' d'amore, vi prego, per Ezechiele Lupo

anche Ezechiele Lupo ha bisogno di una pausa, di tanto in tanto

(contro effetto delle riunioni fiume: uno si mette a disegnare persino a colori)

domenica 28 novembre 2010

Gad Lerner - Operai

GAD LERNER
"Operai"
Feltrinelli, 8 €

Questo libro, a parte l'autore, aveva tutte le carte in regola per piacermi moltissimo.
E' un reportage giornalistico fatto tra gli operai nel 1988 (e appena ripubblicato da Feltrinelli), otto anni dopo la sconfitta definitiva dei sindacati all'interno della FIAT (che era come dire: all'interno dell'industria italiana). Un reportage che si muove tra storie di gente che si è reinventata, gente che è rimasta fedele al partito e al sindacato (andandoci di mezzo), gente che (non) arriva a fine mese e comunque difende l'azienda, gente che lavora quattordici ore al giorno tra fabbrica e campi per accumulare la "roba" e comprarsi la ricchezza che ormai vede ovunque, ma partendo dalle case, la sua manifestazione più essenziale per chi è sempre stato povero.

Dicevo: aveva tutto per piacermi moltissimo: è un libro fatto di storie personali che restituiscono un quadro su un periodo, un problema, un modo di lottare che è stato rimosso quasi completamente dal modo in cui noi (intendo: la gente più o meno della mia età) siamo cresciuti.

Mi è piaciuto molto meno di quanto sperassi, però: Lerner non entra mai davvero nelle storie di chi racconta, le sorvola a volo d'uccello, raramente lascia loro la parola per un numero di battute sufficienti a comprenderli a fondo, e raramente analizza davvero i cambiamenti di cui sta parlando: l'automazione, il cambiamento di atteggiamento della dirigenza FIAT, il cambiamento di paradigma degli stessi operai, sempre più disillusi e sempre più attenti alla propria sfera personale (ma anche: la sostanziale inefficacia del partito e del sindacato prima della sconfitta, la sua conclamata inabilità a fare le cose).

Manca, in questo reportage, una chiara scelta: non racconta abbastanza le vite dei suoi protagonisti e non analizza mai sul serio (e non prende mai posizione ... ma forse è ingiusto chiederlo ad un giornalista, e ad un giornalista abbastanza giovane come era Lerner all'epoca) la situazione in cui si muovono.

C'è un solo punto memorabile, ed è la descrizione della "sfilata" a cui sono costretti ogni giorno i "confinati" nel reparto speciale (quello dedicato ad operai con handicap, gravemente infortunati o gravissimamente e irrecuperabilmente comunisti): 70 metri di sofferenza dalla fermata dell'autobus alle porte del reparto, fatte su stampelle, bastoni o coglioni giratissimi.

Un'altra cosa redime - a mio parere - un libro che non riesce mai ad essere poco più che interessante: lo sprezzo con cui Lerner distrugge le teorie di un giovane ricercatore di allora, dicendo piuttosto chiaramente che non ha capito niente di niente e che fa solo il cagnolino dei padroni. E il nome del giovane ricercatore è RENATO BRUNETTA.

giovedì 25 novembre 2010

dire accettabili e voler dire innocue

Definire una protesta inaccettabile (come la simpatica Maria Stella fa, ma come qualsiasi politico fa) è solo chiedere la solita protesta INNOCUA.

Il concetto è: siete liberissimi di esprimere le vostre opinioni, ma con civiltà e grazia, perché tanto poi faremo quel cazzo che ci pare. Perché far casino?


Per quel pochissimo che vale, quindi, preciso sono dalla parte di tutte le proteste legate al mondo dell'Università in questi giorni.
Particolare plauso a quelli che ieri hanno occupato l'aeroporto a Pisa. 
Semmai mi farete perdere un aereo, un treno, un appuntamento di lavoro: PROMETTO SOLENNEMENTE DI NON MALEDIRVI.

mercoledì 24 novembre 2010

Se ne sentiva fortissimo il bisogno

Il blog di DestraperMilano continua a donarmi gioie.


Non mi ricordo bene in che libro Umberto Eco aveva inventato la Facoltà di Irrilevanza Comparata (ma qui ho trovato la lista degli insegnamenti). Roberto Jonghi Lavarini, da settimane ormai assunto a nostro eroe, secondo nel nostro cuore solo all'esimio presidente della Società Genealogica Italiana, il Marchese Dott. Prof. Don Marco Lupis Macedonio dei Principi di Santa Margherita, Duca di San Donato e Patrizio di Giovinazzo (nessuno che sappia in realtà cosa sia Giovinazzo a questo punto potrebbe trattenersi da grassissime risate), ha reso pubblica l'istituzione di questo indispensabile MASTER UNIVERSITARIO IN ARALDICA E GENEALOGIA:





Mi fanno particolarmente pensare:
1) la lista degli sponsor/patrocinatori (tra cui Presidenza del consiglio e il Ministero dei Beni Culturali)
2) Le lezioni di "Cerimoniale" (10 ore) e le "Moderne attività degli ordini cavallereschi: il caso di SMOM LEANDRO" (solo 5 ore, ahimè).

Tutti ad iscriversi, mi raccomando!!!!

martedì 23 novembre 2010

Nuovi Nemici: Berlusconi contro il principio di non contraddizione

Fonte: Il Giornale.it
(dopo i comunisti e i finiani, il prossimo obiettivo del presidente del consiglio sono le assurde teorie di  Parmenide)

Achab! Appetizer /2

Achab! seconda serie - presto sui vostri schermi


del valore inibitorio della critica di centrodestra

Del programma di Fazio e Saviano ne parla l'universo mondo e quindi non mi era mai parso il caso di discettarne in questa sede: non ho su di esso un'opinione particolarmente originale **.

Sono però fortunato a vivere in Italia: in altre parti del mondo corsivisti conservatori scriverebbero argute o almeno salaci stroncature di "Vieni via con me", artisti e scrittori ne metterebbero in luce le banalità a livello contenutistico e formale, politici radicali ne svelerebbero la miopia ideologica. Diventerebbe lecito porsi domande su una trasmissione del genere, e magari anche sulla parte politica che esplicitamente appoggia.

In Italia, invece, si chiede il parere di PINO DANIELE, si fanno campagne contro uno perseguitato dalla camorra (...) e si scrive quello che è probabilmente il più brutto editoriale mai prodotto da mente umana: una sequela di non sequitur, salti logici, trucchetti retorici da quattro soldi e cattiva scrittura (leggetelo, o almeno provateci, vi prego).

E allora, uno, invece di ragionarci, su quel programma, per quanta noia o indifferenza o addirittura fastidio possa provocare (a me solo le prime due, anche se il discorso con bandiera mi ha suscitato un'incursione nella terza sensazione) si ferma a pensare che comunque è meglio di tutta questa merda. 

Forse è l'unico risultato effettivamente conseguito (perseguito?) dalla stampa di centrodestra: impedire di ragionare per bene su cosa si dovrebbe fare, pensare e dire oltre e di diverso da quello che è passato in televisione.


** la mia opinione si può sintetizzare in "è molto bello che un simile programma vada in onda, è bello che dieci milioni di persone lo guardino preferendolo al grande fratello***, l'importante è che non sia io a doverlo guardare per intero (basta la gente che il giorno dopo mi manda i link dei "pezzi più belli")

*** Certo, se una parte di quei dieci milioni andasse (anche) a teatro, leggesse un libro (anche Gomorra), si informasse su internet attraverso mezzi che non siano il sito di repubblica o virgilio.it sarebbe anche meglio

lunedì 22 novembre 2010

non ho capito bene cos'è successo

Nei tre giorni in cui non ci sono stato se ho capito bene sono accadute tre sole cose degne di nota:

1) Un Bocchino ricorsivo (tm) sta per privare la Carfagna del posto da ministro che illo tempore le aveva garantito
1b) la suddetta Carfagna si è accapigliata con la Mussolini dandole della vaiassa per un qualche motivo che non ho compreso. La Mussolini ha risposto dicendo che lei non è una vaiassa e facendo la mossa
1c) Mi sono informato. Pare che la Carfagna stia facendo casino in Campania, chiedendo maggiore "democrazia" con la seguente argomentazione

"Io mi batto per un partito vero - aveva detto la Carfagna -, autenticamente liberale e democratico, e non usato come uno strumento di potere a vantaggio di pochi capi locali che fanno il bello e il cattivo tempo. Perché questo è l'andazzo. A livello regionale e provinciale, il partito è governato con sistemi dittatoriali. Ed è chiaro che su questo c'è stata una sottovalutazione, se non un avallo, a livello nazionale..."


Quindi: a livello regionale e provinciale il PDL è dittatoriale e poco democratico. Dovrebbe dunque avvicinarsi alla democratica gestione nazionale.
(Comunque: se la Carfagna va in FLI, standing ovation per faccia di tolla e coraggio.)

2) Il papa ha aperto sull'uso del preservativo, anzi no, anzi sì. ma solo nel caso di prostituti maschi (Ratzi! ma di che ti metti a parlare?)

3) Il governo non è ancora caduto: ma è mai possibile?

Mi sono perso qualcosa? Mi sento confuso.

(comunque: Bratislava e Budapest erano invase da orde di italiani che cercavano perifrasi più eleganti con cui riformulare la domanda "where is the red light district?")

sabato 20 novembre 2010

venerdì 19 novembre 2010

Buono a sapersi /3


Meraviglie della tecnologia

(per la serie: anime subtitles are the new zen)

(per la serie: post in absentia)

giovedì 18 novembre 2010

Philosoraptor of the day (ovvero: mai leggere il sito dello UAAR, uno ci ricava solo bile, atrissima bile)


Leggere il sito della UAAR è una fonte quasi insostituibile di idee strabilianti.


I ginecologi cattolici si sentono discriminati e chiedono le quote nei consultori. 
Vi stupirò: mi pare un'ottima idea, da imporre subito con un decreto legge, purché il decreto attuativo contenga la seguente precisazione: 
Quote garantite non solo per i ginecologi cattolici, ma anche per quelli induisti e buddisti. Poi per evangelisti e protestanti. Poi per rastafariani e seguaci del grande spaghetto volante. E per tutti gli altri culti, purché abbiano una presenza anche minima sul territorio italiano.
In tutti i consultori OGNI religione deve essere rappresentata. Se non si trovano abbastanza ministri del culto per tutte le religioni, si provveda ad assumere a tempo indeterminato tutti i ricercatori precari oggi presenti sul territorio nazionale. Essi sono infatti capaci di sostenere qualsiasi cosa, se economicamente incentivati, figuriamoci se non riescono a sostenere che tutte le volte che qualcuno abortisce, Kalì piange.

(da domani, in breve viaggio premio nella ridente Bratislava: nel frattempo ho programmato dei post automatici di rara cretinaggine. Enjoy)

Francesco Orlando "La doppia seduzione"

Francesco Orlando
"La doppia seduzione"
Einaudi, 12.00 euro

Francesco Orlando era l'unico professore dell'università di Pisa di cui avesse senso seguire le lezioni. Tutte.
Gli altri, quando erano bravi, potevano imbroccare una lezione o due. Magari un intero corso. Ma di Orlando era un peccato perdere anche soltanto una  lezione, anche andare via un minuto prima, o decidere di non restare all'ora e più di discussione aperta che seguiva le lezioni del mercoledì, nell'anno in cui ho avuto la fortuna di seguirlo.

Sul suo romanzo, tenuto nel cassetto dal '56 al 2010, giravano storie assurde: come quella di letture integrali riservate ai fedelissimi (o per i più maligni: ai più desiderati). Non so se queste voci sono vere. Se lo sono, non riesco a non essere invidioso di chi a quelle letture è stato invitato. Questo, nonostante il romanzo non mi abbia convinto fino in fondo.

Il libro si sviluppa intorno a due protagonisti, l'omosessuale e intellettuale Ferdinando e Mario, la sua controparte eterosessuale, abbronzata, sportiva. La doppia seduzione del titolo è quella che lega Ferdinando a Mario e Mario a Dolly, la sua fidanzata. Più numerose, invece, le seduzioni mancate, che danno alla vicenda quell'aria da tragedia impossibile da evitare che caratterizza gli ultimi capitoli.
La storia, narrata da una voce esterna onnisciente ma reticente, fredda quanto più complessi e dolorosi sono gli avvenimenti narrati, procede ineluttabile ma non spiegata (i moventi e le psicologie dei protagonisti sono forniti per punti separati: è il lettore che li ricostruisce) e la chiusura è un anticlimax vertiginoso (e, forse, il punto migliore del libro).

Non è un romanzo pienamente convincente (per fare il paragone con un altro studioso rivelatosi scrittore solo durante la pensione: "Fratelli" di Samonà è decisamente più compiuto e riuscito): soprattutto i primi capitoli sono troppo impressionistici (troppo francesi, troppo stendhaliani, anche se è difficile dire che questo sia un difetto): ho l'impressione di essere arrivato a quelli centrali e finali (questi sì, riusciti) solo perché era il romanzo di Orlando.
O forse non mi ha convinto solo perché, di Orlando, non sono stato capace di riconoscerci dentro la voce: mi avesse invitato alle letture del romanzo, magari ce l'avrei fatta.
Che invidia.

mercoledì 17 novembre 2010

per non dimenticare: dagli archivi della stampa nell'era Berlusconi: il miracolo delle infermiere

dal mio archivio di articoli in copertina assurdi/ idioti/ rivelatori di Libero, ecco a voi:

IL MIRACOLO DELLE INFERMIERE (09 giugno 2010, si noti bene: quando di Noemi e della Minetti e della passione per il puttanizio del B. si sapeva già abbastanza)




ovvero: con Prodi erano racchie, con Berlusconi trattasi di gran tope, oltretutto sosia della ex-moglie (cosa che apre ulteriori inquietanti squarci su ciò che accade in camera da letto del PresdelCons: è tutto un role play con le infermiere cattive, temo)

(E comunque: quale miglioramento apporta il miracolo berlusconiano al funzionamento della Croce Rossa? deve essere un miglioramento sostanziale, altrimenti perché parlarne in prima pagina in un giornale serio come Libero?

(faccio notare incidentalmente che le infermiere "racchie" sono una decina - e una oltretutto mi pare anche belloccia, quella sulla sinistra - mentre di infermiera topa quelli di Libero ne hanno trovato giusto una.
Sono prevenuto se penso che abbiano scelto la foto a più alta densità di anziane per illustrare la Croce Rossa ai tempi di Prodi e l'unica rispettosa dei canoni estetici del "Gran Pezzo dell'Ubalda" per illustrare il miracolo Berlusconiano?)

Buono a sapersi /2


Desideri inconfessabili delle donne, seconda puntata

(anime subtitles are the new zen)

martedì 16 novembre 2010

buono a sapersi


(come dice Catastrofe, anime subtitles are the new zen)
(comunque, ce ne sono di cose sulle donne che neanche mi immagino)
(scusate, è il momento delle cazzate)

Le Luci Della Centrale Elettrica "Per Ora Noi la Chiameremo Felicità"

PREMESSA, ovvero l'unica cosa che mi interessi scrivere.
Quando ero regazzino, le riviste musicali, di tanto in tanto, stroncavano, e forte.
Lo so, non si usa più.
Però era una gioia, una volta al mese, comprare riviste terribili come Metal Shock o Hard (rischiando sempre che Generoso, l'edicolante, ci rispondesse che no, il porno arriva il mercoledì) o, più avanti, riviste non meno terribili ma musicalmente più dignitose come Rumore o Blow Up, o il Mucchio Selvaggio (altro titolo a rischio porno) e scovarci, nelle loro scale a pallini o a stelle (da uno a cinque, solitamente) improbabili dischi da un pallino o due o addirittura senza voto, tanto erano indegni.
Di solito erano le recensioni più divertenti.
E si noti: non è che i recensori di queste riviste avessero chissà che gusti raffinati. Per ogni capolavoro di cui si accorgevano c'erano sempre due o tre innominabili cagate spacciate per dischi del secolo (mi ricordo tutto un numero dedicato a un dimenticabilissimo disco dei Morbid Angel, per dire). Quindi quelli brutti erano, con tutta probabilità, dischi brutti per davvero, oppure dischi di generi incomprensibili alle orecchie del recensore, e finiti sulla sua scrivania per errore, per un colpo del destino cinico et baro (verso il gruppo autore del disco, ovviamente)

Negli anni seguenti, il gusto della stroncatura è scomparso dalla stampa mainstream: una volta stroncava persino Musica! di Repubblica, ora se prendete una rivista qualsiasi, anche le più snob (un nome su tutti: Blow Up) faticherete a trovare dischi che non siano valutati meno che dignitosi. Il che insospettisce: perché in genere c'è un sacco di musica di merda. La cosa accade anche sui siti musicali un minimo più seri. Bisogna andare sui forum (o su Debaser) per sentire qualche commento meno paludato.

Il mio vecchio coinquilino B.A.N.N.I. sosteneva che è perché ormai nessuno registra davvero più dischi indegni: come minimo sono registrati bene, cosa che tra fine anni ottanta e primi novanta poteva ancora non succedere, e che non si può dare un voto indegno a un disco comunque registrato e suonato bene, solo perché in quell'ascolto frettoloso o due che gli abbiamo dato pur di scrivere una cartella di recensione (scrivevamo per una fanzine on line, all'epoca, io e BANNI) c'è sembrato brutto.

Io credo che BANNI avesse ragione, ma non è tutto: c'è anche che da quando scarichiamo i dischi c'è molto meno rischio, e ci si rimane meno male.
E' come per la tv: sembra (è?) gratis: pazienza se è di merda. Ho sempre il tempo per cercare roba meglio.
Questo ovviamente non è vero: la merda ruba tempo, e comunque da assuefazione e ci si abitua. Andrebbe combattuta ancora con più forza, soprattutto quando è gratis.

IL PUNTO
Comunque: OndaRock, che vorrebbe essere una specie di Blow Up on line e una specie di Pitchfork all'italiana (e nel primo caso più o meno ci riesce, dai), non stronca praticamente nessuno. MAI. Soprattutto i famosi. La maggior parte dei voti è fra il sette e l'otto, sempre. Disco brutto, poco convincente, poco originale: sei, sei e mezzo. Ma sono eccezioni.
Il disco nuovo de Le Luci della Centrale Elettrica si becca un quattro e mezzo.
E' un evento. Sono subito andato ad ascoltarlo.

A me delle Luci non aveva esaltato neanche il primo.
Tutte le canzoni si somigliavano troppo (dopo averle ascoltate più volte le confondo ancora); il modo in cui erano realizzate musicalmente mi piaceva (mi piace la chitarra di Vasco Brondi e mi piace anche molto il modo in cui [non] canta) ma non mi convincevano del tutto i testi, sempre sul filo del ricatto basato su un passato condiviso (con i CCCP al posto del Drive In ma non è una distanza così abissale) e sull'orlo dello slogan da urlare a squarciagola (che però, quando funziona, quando riesco a riconoscermi, devo ammetterlo, è anche liberatorio), e alla peggio da scrivere al compagno di banco, sulla smemoranda.

Però in alcuni momenti quel disco mi è piaciuto. Ecco: gli avrei dato un sei e mezzo, dicendo: questo scrive bene, anche se non mi convince fino in fondo.

In questo disco la poetica è esattamente la stessa (ma i testi, nessuno se ne è accorto, sono tutti a sfondo romantico? in "Canzoni da spiaggia deturpata" non mi pareva così evidente), le musiche sono un po' più complesse e ripulite e Brondi urla quasi come nel primo, anche se modula un po' di più, aiutato da arrangiamenti meno spartani e da toni meno duri.
Secondo me questo disco è meglio. Meno diretto, meno ingenuo. Ma meglio. Come in quell'altro mi piaceranno per davvero solo 2 o 3 canzoni e magari dieci frasi, o un testo su dieci per intero. "Quando tornerai dall'estero", per esempio, con il suo testo romantico e composto di un cut-up di discorsi presi in prestito, mi piace praticamente tutta, a parte (per il testo soprattutto) l'apertura finale.

Il dubbio su cosa abbia fatto Vasco Brondi a quelli di OndaRock, però, non me lo sono tolto.

return of the fat dark knight

(le riunioni servono soprattutto a disegnare, in questo periodo)

lunedì 15 novembre 2010

Fruttero & Lucentini "L'Italia sotto il tallone di F&L"

Nel 1973, mentre tutti in Italia e in Europa sembrano affascinati e in via di innamoramento di Gheddaffi (alias: la via islamica al socialismo, secondo qualche ben informato dell'epoca), Fruttero e Lucentini scrivono un elzeviro su La Stampa non contro Gheddaffi ma contro il modo in cui, sono sicuri, se ne parlerà nei mesi seguenti.
Il loro pezzo viene letto integralmente e integralmente NON compreso dall'ambasciatore libico in Italia, che chiede scuse e spiegazioni e contestualmente minaccia ancheo i proprietari del giornale (ovvero la FIAT) e il governo italiano tutto.

La reazione della direzione (e della proprietà) del giornale è meno ossequiosa di quanto sarebbe oggi e F&L se la cavano con un altro elzeviro in cui spiegano all'ambasciatore che non ha capito assolutamente nulla (ma lo fanno gentilmente, questo bisogna ammetterlo).

Pochi mesi dopo, sull'onda di questa inattesa attenzione della grande politica per i loro innocui editoriali, F&L iniziano a pubblicare (a puntate, su Epoca) il primo capitolo de "L'Italia sotto il tallone di F&L", ovvero questo meraviglioso volume che ho scovato alla libreria Atalante, una minuscola libreria dell'usato di Milano.

Non è un gran romanzo, ovviamente (soprattutto la prima parte, ovvero quella che era stata pubblicato su Epoca): F&L vengono prima trascinati in Libia e costretti da Gheddaffi e da sua nonna a scagliare i propri terribili elzeviri contro la propria patria, poi, di fronte all'assenza di reazioni da parte dell'allora ministro degli esteri Aldo Moro, concepiscono il piano di attaccare l'Italia e di prendere il potere.

Ecco quindi lo sbarco delle brigate premaman sulle coste italiane (a bordo di gommoni e mezzi di fortuna ...) e poi la marcia sopra e sotto Roma dei due condottieri e letterati.

La parte centrale del romanzo (dallo sbarco alla presa del potere) è la più divertente: F&L usano quasi sempre lo stesso trucco, ovvero prendono una metafora abusata del lessico politico/giornalistico/comune dell'epoca e lo usano come se fosse un'espressione letterale. Sembra un mezzo che alla fine può stancare, ma applicato alla politica dei primi anni '70 e ai contrasti tra varie correnti all'interno del vaticano offre invece divertimento continuo.
(Il momento migliore è comunque quello in cui si scopre che Aldo Moro non solo è un arabo pazzo dal vero nome di Al Domohr, ma è anche l'arabo pazzo dei romanzi di Lovecraft)

L'ultima parte (dalla presa del potere alla caduta) è troppo ricalcata sul ventennio fascista per essere molto più di una semplice parodia, anche se l'allenza con la Svizzera sotto il segno della Svanzica rimane un grande passaggio, così come anche tutta l'organizzazione del nuovo stato sotto l'insegna del PNF&L (con conseguente onnipresenza di riferimenti a "La donna della domenica").

Insomma: è abbastanza (non troppo: è ovviamente un libro invecchiato malissimo) divertente, è un bel documento storico e F&L erano (uno è ancora a dire il vero) due uomini meravigliosi: se vi capita leggetelo.

sabato 13 novembre 2010

Menomena "Mines"

I  Menomena sono un trio di Portland. Fanno indie-rock (definizione necessariamente vaga): il loro cantante ricorda a volte Damon Albarn, a volte i primi Kings of Leon, ma la voce del cantante è allo stesso tempo la prima cosa che si nota e la prima che si dimentica.
Le canzoni riescono ad essere sorprendenti, in questo loro terzo disco, anche se non superano quasi mai i cinque minuti: iniziano in un modo e quasi sempre finiscono in un altro, con un paio di assi nella manica per pezzo (da una accelerazione, a un cambio di melodia, ad un pianoforte che arriva quando meno te l'aspetti).
E' uno dei dischi più divertenti degli ultimi mesi, e vale un ascolto.



giovedì 11 novembre 2010

frontiere dell'italica letteratura

Scusatemi.
Il mio senso critico è da qualche parte che fa seppuku.
Da giorni non riesco a togliermi dalla testa il fatto che D'Orrico* ha giudicato il nuovo romanzo di Faletti ("Appunti di un venditore di donne" ... il titolo non mi dice niente, e a lei, signor Aldo Busi?) il miglior romanzo italiano degli ultimi millanta anni perché nella prima frase Faletti ci ha messo la parola "Cazzo"**.
"Porci con le ali" è dunque il capolavoro immortale della letteratura mondiale (su questo in effetti si può anche discutere).
(in ogni caso Faletti ha donato e donerà meno wank opportunities agli adolescenti di sinistra rispetto alle peripezie di Rocco e Antonia).


* Sì, lo so che criticare D'Orrico è come bombardare la croce rossa.
**(L'incipit, che secondo D'Orrico è "una rasoiata che vi segnerà per il resto della vostra vita" e che farà impallidire ogni altra manifestazione letteraria in cui vi imbatterete è questo: "Mi chiamo Bravo, e non ho il cazzo" [cito a memoria, non ho il numero di Sette sottomano, ma le rasoiate non si dimenticano così facilmente])

verso un'ecologia dei convegni

Sono appena tornato da un convegno.
Ho deciso che, nel momento in cui prenderò il potere, chiunque chiuda un intervento o introduca una domanda con la frase "ora ho intenzione di lanciare una provocazione" sarà accompagnato con gentile fermezza alla porta*

(*La sentenza di espulsione sarà tramutata in capitale se il suddetto esemplare di conferenziere avrà nel frattempo sentito il bisogno di chiosare la propria domanda/osservazione conclusiva con la frase "ovviamente la mia è solo una provocazione")

mercoledì 10 novembre 2010

Gianfranco Marziano "Inferno"

Molti anni fa, in un'epoca in cui ancora non mi sarei sentito irrimediabilmente sfigato a giocare ad un gioco di ruolo, convinsi alcuni miei amici ad abbandonare draghi, dungeoni o peggio ancora vampiri e scenari cyberpunk (Vampiri è decisamente il peggior gioco di ruolo ch'io abbia mai visto, ma ammetto di non conoscerne tanti) in favore del gioco di ruolo di Mario Merola (Mario Merola Role Play Game, per gli addetti ai lavori).

Il Gioco di Ruolo Di Mario Merola è, ovviamente, ambientato a Napoli.
Invece di maghi e guerrieri, i suoi personaggi sono il cantante, il camorrista, il ricchione, la vaiassa, ecc. Invece degli incantesimi si invocano (o bestemmiano) i santi e le madonne, invece delle abilità con la spada o di altre caratteristiche ci sono "guidare con una mano sola", "sparare in diagonale", "'a squisitezza", "o' completo", solo per citarne alcune.
Come in D&D, si tirano i dadi, ma qui soprattutto per vedere quante possibilità hai di uscire vivo dagli ospedali.

Se volete dare un'occhiata alle regole nella loro interezza (e sono divertentissime da leggere anche se si decide di non giocare), qui c'è l'intero manuale.

Il gioco di ruolo di Mario Merola mi pareva (e mi sembra tuttora) una rappresentazione realistica e avvincente della realtà napoletana.

Inferno, il romanzo breve di Gianfranco Marziano, mi ha dato esattamente la stessa sensazione.
Vari personaggi del sottobosco salernitano si muovono in uno squallore e in vuoto perfettamente credibili: tre storie principali (quella di Sergio, di Claudio e di Domenico), che non vanno e non possono andare da nessuna parte (quella di Sergio anzi gira in tondo) a causa della pochezza dei protagonisti ma anche del mondo e delle persone che stanno a loro intorno.

Il romanzo di Marziano (che è, a quanto pare, una figura storica dell'underground salernitano, grazie ai suoi haiku e alle sue canzoni piene di volgarità assolutamente gratuite - io lo conosco solo perché mi è stato segnalato da un amico di Formia) avrebbe un gran bisogno di un editor: lo stile non regge sempre, e se nella maggior parte dei casi le esagerazioni, le volgarità, i napoletanismi e i giochi di parole di cui il testo è infarcito suonano veri, ogni tanto l'accumulo è eccessivo, come se si cercasse la risata o l'effettaccio a tutti i costi.
Un testo più pulito sarebbe più efficace, ma, pensando alla produzione extra-letteraria di Marziano, non credo che accetterebbe mai qualcosa del genere, e che il livello di "pulizia" di Inferno sia il massimo a cui lui sia disposto ad arrivare.
Peccato.

Se volete leggerlo, il pdf del romanzo è QUI.

lunedì 8 novembre 2010

Massimo Volume "Cattive abitudini"

Finita di scrivere la frase che riassume il mio commento a questo disco, mi sentirò pronto a tutto.
A un romanzo fiume di Borges, per esempio: avvincente, ma imperfetto dal punto di vista della ricostruzione storica, segno evidente di un autore dalla scarsa erudizione.

Insomma: questo disco dei Massimo Volume, il primo in dieci anni, è molto più bello per le musiche (stupende, davvero) che per i testi.

(I testi sono, ora che Emidio Clementi è diventato più vecchio sono incredibilmente meno personali e veri di quanto fossero una volta. I personaggi non hanno nomi, sono il vecchio, la donna, il malato, con pochissime eccezioni. Ci sarà dietro una scelta id poetica ma non mi convince per niente. E anche alcune immagini sono fin troppo letterarie e finte. Boh)

Bernstein e Woodward "L'affare Watergate"


Due sabati fa, su una bancarella di Torino, per la modica cifra di un euro, ho comprato questa meraviglia. Si tratta di una prima edizione del 1974, prima ancora che Nixon subisse l'impeachment e prima ancora che ne venisse tratto il film (Tutti gli uomini del presidente), motivo anche per il quale la Garzanti sceglie un sobrissimo "L'affare Watergate" come titolo italiano.

Il libro in sé è una cronaca molto scarna (benché occupi 350 pagine circa) e molto poco cinematografica (piena zeppa com'è di nomi, particolari, anticlimax, non-rivelazioni) del lavoro dei due giornalisti del Washington Post, ma a suo modo incredibilmente avvincente.

Ovviamente, quello che tiene viva l'attenzione è il progressivo svelarsi del sistema messo su dal presidente americano, e il progressivo sgretolarsi del muro di silenzio e smentite che i suoi uomini e il suo ufficio stampa avevano cercato di creare intorno ai due giornalisti e al quotidiano per cui lavoravano.

La cosa che più mi ha impressionato del libro è però la prefazione di Alberto Ronchey (direttore della stampa e futuro ministro con Amato e Ciampi) in cui il buon giornalista trova necessario spiegare che questi americani sono molto strani e che per loro è sacrosanto il processo mediatico fatto al presidente Nixon, cosa che a noi italiani non può che apparirci molto moralista e piccolo borghese, e financo incomprensibile.

Cazzo.
Cosa doveva fare Nixon perché il "processo mediatico" fatto ai suoi danni ci sembrasse sacrosanto anche a noi italiani?
Cosa deve fare un capo di stato perché sembri sacrosanto dirgli di andarsene, in Italia?
Sono domande eterne, ecco.

venerdì 5 novembre 2010

evolution of the platypus

Siccome sono convinto che gli Zombie saranno i prossimi Vampiri, nella cultura dei ggggiovani, mi porto avanti con il mio ornitorinco zombie.

All'inizio era uno dei miei ex libris, ora invece sta diventando un personaggio con una sua caratura.
Ne sono molto fiero.

Roba da leggere (una nuova splendida rubrica per cui dovrò trovare un titolo decente)

Negli ultimi mesi, due siti sono diventati fondamentali nelle mie abitudini di lettura.
Il primo è Instapaper, un servizio che permette di "salvare" in una cartellina personale le robe scovate in giro su internet e di leggerle più tardi. E' un servizio che ha senso per articoli testuali piuttosto lunghi, quelli che di solito, mentre si naviga, si tende a scorrere soltanto, ripromettendosi di leggerli più avanti. In pratica, è la versione elettronica del "me lo fotocopio così quando ho tempo me lo leggo".

Instapaper però sarebbe quasi inutile senza il suo completamento più efficace, ovvero Longform.
Longform è un sito che raccoglie articoli "lunghi" (alcuni lunghissimi) con il link al formato originario, ma anche  pronti per essere salvati in instapaper e da lì anche stampati in formato solo testo
(Preciso una cosa: sono un difensore degli articoli lunghi, credo siano la salvezza dell'editoria. 
E' un'idea del cavolo, lo so, e addurre come prova che io mi sia abbonato al New Yorker on line non è abbastanza, lo so. Ma io ci credo)

Comunque: su Longform si scovano degli articoli eccezionali, di tanto in tanto. 
Ho deciso che alcuni li segnalo qui. Saranno praticamente tutti in inglese, ma se avete voglia di faticare un po', valgono la pena di essere letti.

1) Tea and Crackers: Matt Taibbi on the Tea Party. How corporate interests and republican insiders created the Tea Party monster: ogni volta che, pensando alla politica italiana, rischio di farmi assalire dallo sconforto, penso a Sarah Palin e ai Tea Party e mi consolo un po'. Quest'articolo, pubblicato su Rolling Stone, da un'idea piuttosto vivace dell'elettorato di riferimento dei Tea Parties e della retorica utilizzata dai suoi capi. Il cuore dell'articolo, contenuto nelle prime pagine, è però contenuto in questo passaggio:

"Vast forests have already been sacrificed to the public debate about the Tea Party: what it is, what it means, where it's going. But after lengthy study of the phenomenon, I've concluded that the whole miserable narrative boils down to one stark fact: They're full of shit
(Ampie foreste sono già state sacrificate al dibattitto pubblico sul movimento dei Tea Party: che cos'è, cosa significa, dove sta andando. Ma dopo un lungo studio del fenomeno, ho concluso che l'intera miserabile questione  si riduce a un fatto molto semplice: sono pieni di merda.)

2) What is poetry? And does it pay? : pubblicato su Harper's Magazine, è il racconto di una delle due più importanti convention di poeti dilettanti americane, organizzata dalla Famous Poets Society. L'autore invia una sua poesia allettato dal premio di 25.000 dollari, paga i 500 dollari circa necessari a partecipare alla convention (ovviamente praticamente chiunque abbia inviato una poesia è ritenuto meritevole di passare alla fase finale del concorso ...), riceve due prestigiosi riconoscimenti (il Prometheus Muse of Fire Trophy e il Poet of the Year Medallion) esclusivamente in virtù della sua partecipazione, e descrive le attività, le lezioni, le cene e soprattutto la cerimonia finale con premiazione. Oltretutto, vince anche uno dei premi minori (da mille dollari). Proprio nel momento della vittoria, scrive uno dei passaggi più azzeccati (per tutto l'articolo si è chiesto come possa essere definita la poesia, soprattutto di fronte alle performance degli altri partecipanti all'evento) e divertenti dell'articolo:

"My chair in the winners’ circle afforded me an entirely new perspective on the convention. Who really gave a damn about what poetry was or wasn’t? Poetry was the check in my hand"
(Il mio posto nel cerchio dei vincitori mi consentiva una prospettiva totalmente nuova sulla convention. A chi gliene importa di che cosa sia o non sia la poesia? La poesia era l'assegno che avevo in mano)

mercoledì 3 novembre 2010

Uaccadi Uaccadu - l'elefante gay



Ho scovato questo splendido pezzo, cantato da una bambina di dieci anni, Erika Mannelli, nel 1984 e arrivata finalista all'Ambrogino(una versione appena più povera, ma all'epoca anche più laica, dello Zecchino d'Oro).
Vi incollo lo splendido testo, che mostra una queerness forse un po' eccessiva e caricaturale, ma certamente realistica negli anni 80 (anni in cui, ricordiamocelo, Malgioglio e Boy George sembravano strani, ma non così strani).

L'Elefante Gay

uaccadi uaccadu
unghie e smalto rosso
uaccadi uaccadu
zanne di lamè
uaccadi uaccadu
guarda com’è grosso
uaccadi uaccadu
sta arrivando

l’elefante gay con cinquanta nei
sparsi qua e la che arie che si da
le mutande blu a pois
ciglia finte in su si sa
non nasconde più la sua
vera identità

l’elefante gay non più lui ma lei
gli occhi dolci fa con ambiguità
il vizietto lui ce l’ha
con giudizio altrui ci fa
un gioiello per la sua
femminilità

elefante gay
elefante gay
elefante gay
che simpatico che sei

uaccadi uaccadu
unghie e smalto rosso
uaccadi uaccadu
zanne di lamè
uaccadi uaccadu
guarda com’è grosso
uaccadi uaccadu
sta arrivando

l’elefante gay ora è tutto ok
la virilità l’ha attaccata al tram
con le orecchie lui ci fa
deltaplani e poi si da
svolazzando a chi gli va
con avidità

elefante gay
elefante gay
elefante gay
che simpatico che sei

il vizietto lui ce l’ha
si distende sui lillà
se gli piaci poi ti fa
“bello vieni qua!”

elefante gay
elefante gay
elefante gay
che simpatico che sei

uaccadi uaccadu
unghie e smalto rosso
uaccadi uaccadu
zanne di lamè
uaccadi uaccadu
guarda com’è grosso
uaccadi uaccadu
l’elefante gay


In questo blog trovate fin troppe informazioni

il ruggito del coniglio (ovvero: Bersani fa la voce grossa)


Uno spera che sia stata la cattiveria del titolista, alla base di un titolo così rivoltante, ma la dichiarazione di Bersani testuale (tra parentesi ovviamente sono mie sacramentazioni) è anche peggio

"Perbacco (PERBACCO????), qui ci vuole qualche (qualche? qualsiasi? uno o due in particolare no? suvvia, SAMUELE, proponi qualcosa) gesto. Il PD si mette a disposizione di una ragionevole riscossa (ragionevole. Non sia mai sia eccessiva, strabiliante, improvvisa, irrazionale, entusiasmante, violenta, orgogliosa. No. Ragionevole). Mi rivolgo alle forze che nella maggioranza hanno un minimo di ragionevolezza. Non solo Fli, anche agli ex di Forza Italia (?), alla Lega (COOOSA??), a tutti gli altri. Dicano qualcosa per favore! (Questa mi pare del tipo: qualcuno vada volontario all'interrogazione, che io non ho studiato!)"
Etc. etc.

Bersani. Un cordiale vaffanculo pure a te, va.

(articolo da Il Fatto Quotidiano di oggi)

altro che Cattelan, qui siamo di fronte ad un nuovo Rinascimento delle arti (dei costumi forse no)

Di tutta la storia di Ruby Rubacuori (che, incredibilmente, stanno riuscendo a sgonfiare, come se fosse una cosa normale) continuano a colpirmi soprattutto le descrizioni relative al caro premier e all'eleganza delle persone e degli oggettini di cui ama circondarsi


"Quella sera eravamo dieci ragazze, alcune famose altre no, tutte eleganti. Ma nomi non ne faccio. Erano tutte molto appariscenti, in rosso, verde smeraldo. E c'era Emilio Fede. Ero seduta accanto a Silvio. E vicino alla tenda c'era Apicella che suonava".

Silvio Berlusconi, racconta, si divertiva a prendere in giro il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: "Abbiamo parlato di tutto tranne che di politica. A parte Silvio che prendeva in giro politici di sinistra, tipo Bersani. Ci ha fatto vedere una statua di marmo con la sua faccia e il corpo di Superman. Poi mi ha dedicato una canzone, perché ero nuova. Mi ha cantato 'Se tu non fossi tu' di Apicella"."



(fonte: Repubblica)


Quindi: donne vestite da pappagallo.
Ma soprattutto: UNA STATUA IN MARMO CON LA FACCIA DI BERLUSCONI E IL CORPO DI SUPERMAN.


Ripeto:  UNA STATUA IN MARMO CON LA FACCIA DI BERLUSCONI E IL CORPO DI SUPERMAN.


Chi l'ha scolpita? Dove posso vederne una foto? E' un particolare troppo assurdo perché una diciottenne illetterata possa esserselo inventato, quindi da qualche parte questa cosa esiste sul serio. Qualcuno ne sa qualcosa?

martedì 2 novembre 2010

Michel Houellebecq - La carta e il territorio

Michel Houellebecq
"La carta e il territorio"
Bompiani, 20,00 euro

Pensavo, dopo Piattaforma, di non leggere nessun altro romanzo di Houellebecq. Perché mi aveva un po' rotto le palle: innanzitutto con la fissazione per il turismo sessuale (dopo un po' stufa anche il giochino divertente di parlare esattamente come un depliant pubblicitario), e poi per il tentativo troppo scoperto di scandalizzare a priori, e per i discorsi sempre uguali sul sesso e sul destino dell'occidente, capaci di ammazzare qualsiasi discorso interessante sull'uomo, sull'arte e tutto il resto.

Per La possibilità di un'isola ho resistito nel mio intento:  mi sono bastate poche pagine a capire che era più o meno la stessa solfa, con una vaga rispolverata fantascientifica, per altro già tentata, e meglio riuscita, ne Le particelle elementari.

Per La carta e il territorio, invece, ci sono ricascato: le prime pagine, lette in libreria, che descrivono il protagonista preoccupato per la sua caldaia e intento a dipingere il quadro "Jeff Koons e Damien Hirst si spartiscono il mercato dell'arte", non mi erano sembrate male. Più controllate e più intelligenti di quanto Piattaforma sia mai riuscito ad essere.

E non mi pento di averlo comprato e letto: Houellebecq, anche se questo romanzo non è granché, si è liberato di molti suoi tic: c'è sempre la fissazione con il turismo (ma questa volta all'interno della Francia), ma priva del solito discorso sulla gioia connessa al godere di varie forme di prostituzione (in realtà ci sono accenni a questo tema, ma per fortuna sono limitati a personaggi molto minori), c'è una narrazione (come in Particelle) che sembra scritta da un accademico del futuro (o meglio, da qualcuno che scrive una biografia partendo dai tediosi articoli degli accademici del futuro), ci sono discorsi non stupidi sui sentimenti fatti  da personaggi che mostrano l'assenza del desiderio (ancora: come in uno dei due protagonisti di Particelle) più che il suo dominio assoluto (e soprattutto, mancano tutte le tediosissime scene di sesso).

La storia raccontata non è nient'altro che la biografia di un artista (fotografo e poi pittore), Jed Martins, del suo rapporto con l'arte e dei suoi scarsi rapporti con il mondo (suo padre, due donne, una prostituta e una manager nel campo del turismo, giusto per rimanere negli ambiti di cui Houellebecq parla di continuo), e dell'unico momento in cui vorrebbe provare amicizia per qualcuno (Houllebecq stesso, qui personaggio del suo stesso romanzo).
A un certo punto il romanzo vorrebbe avere una parte di giallo: ma, quali che siano stati i motivi di Houellebecq per inserire questa svolta (soldi? parodia dei gialli oggi in voga? paraculaggine?), è una parte eccessivamente brutta per discuterne a lungo.

Cosa non va (a parte la svolta gialla, brutta tutta, da capo a piè, a parte il personaggio dell'ispettore):
1) la riflessione sull'arte di Jed Martins è patetica, e non è assolutamente abbastanza per tenere su un romanzo. Non è un caso che il suo più grande risultato teorico sia uguale a un titolo di un manuale di PNL (vedi foto);

1bis) tutta la riflessione sul lavoro è abbastanza inutile e presagisce un Houellebecq che tra qualche anno si da al cattolicesimo o almeno difende i "bei vecchi valori di una volta"

2) in tre diverse occasioni, cento pagine dopo la sua prima apparizione, Houellebecq ritiene necessario introdurre il suo sé fictional con la formula "Houellebecq, l'autore di Piattaforma/ Estensione/ Le Particelle" (meno male che poi muore, altrimenti doveva citare anche Lanzarote): è un segno di sciatteria nell'uso della lingua che trovo insopportabile, anche se è messo lì apposta, per ottenere un effetto non-lirico. Lo trovo insopportabile soprattutto se è messo lì apposta (ripeto: è solo la punta dell'iceberg di una lingua che si vorrebbe fredda e invece di solito è semplicemente sciatta)

Cosa mi è piaciuto:
Non lo so. mi aspettavo che mi desse fastidio e invece no. E' un romanzo sull'assenza di desiderio fisico e sull'assenza di voglia di parlare, e in questo riesce ad essere molto vero.