martedì 27 dicembre 2011

Sotto l'albero niente


C'è una questione che mi è venuta in mente, mentre leggevo e dopo aver visto il documentario. Si parla dei padri e di prendere una strada, e di sapere qual è il proprio dovere. Che il mondo di chi è andato in guerra nella prima metà del Novecento era un mondo dove la libertà stava a significare libertà dallo sfruttamento e da condizioni di vita disumane e anche parlando con mia nonna ho capito o almeno mi è sembrato di capire che non veniva in mente di chiedersi "come sarà la mia vita", "cos'è che mi piace fare" o cose di questo genere. C'era da faticare e si faticava, c'era poco da mangiare e poco si mangiava. Uno dei personaggi del libro di Wallace quando sta per essere sospeso dall'Università dice "chissenefrega", che è lo stesso "chissenefrega" dei padri di cui sto parlando, lo stesso pilota automatico, solo che per quest'ultimi significava prendere i lavori noiosi o sfibranti così com'erano, mentre li facevano, mentre per lo studente sospeso è il non pensare mentre non sta facendo niente, è il vuoto. La libertà di fare è spiazzante. Mi pare di dire cose sciocche, perché poi la maggior parte delle persone lavora e magari sa benissimo cose deve fare e sta bene, non so. Ho un amico che lavora in fabbrica e la cosa non gli fa certo bene, anche se non sta in catena di montaggio, è comunque pesante. E parlarne non serve a nulla, non aiuta, bisogna lavorare. Gli eroi dell'Agenzia delle Entrate Wallaciani sono veramente eroi, tutti quelli che vedo lavorare attorno a me, i miei amici che mi dicono "beato tu che non fai un cazzo" e ci facciamo una risata e in effetti io sto qua davanti al pc a pensare a qualcosa di sensato da scrivere a proposito di questo libro che sto leggendo ( un'altra opera straordinaria di un mio beniamino ), quando potrei limitarmi a mettere la copertina e via, e magari non rovinare nulla con le parole che davvero non contano. Sarà che avverto anch'io la mia insignificanza di fronte al mondo e voglio assolutamente lasciare tracce, come in un passaggio del libro, tanto forte da metterlo in quarta di copertina. Sarà pure che sono bravissimo ad affrontare la noia, e il libro ne è pieno, e secondo Wallace dovremmo parlare della noia; solo che è noioso, e dunque nessuno ne parla, ma per lui ci sarebbe non dico da divertirsi ma qualcosa da imparare. Cosa c'è dietro alla noia dunque?

Il film documentario si chiama "Passano i soldati", è di Luca Gasparini, ci sono le musiche di Massimo Zamboni ( CCCP ) e per questo l'ho visto. Luca va alla ricerca dei compagni alpini del padre, con cui egli andò in Russia durante la seconda guerra mondiale, intervista la madre e la zia, di passaggio ci sono anche Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli che di quei giorni hanno scritto, e alla fine c'è modo anche di commuoversi ascoltando le parole del regista che dice al padre che ogni tanto se gli viene voglia può scrivergli, senza starci troppo a pensare, e il padre risponde con una delle ultime lettere in cui riconosce di essere un rompiballe.


domenica 25 dicembre 2011

Sotto l'albero niente


DRIVE – USA 2011, 100’. Regia di Nicolas Winding Refn. Wow! Come direbbero i Verdena ( a me piacciono, a voi? ). Avevo sbirciato qua e là per la rete in cui si diceva di un gran film, d’altronde a Cannes non è che premino il primo che passa, e le aspettative sono state confermate, anzi di più. Perché non sapevo bene di cosa trattasse e così mi sono lasciato trasportare alla grande. Va detto che è un film per tutti fino a che non si complicano dannatamente le cose, per cui ci tengo ad avvertire chi non sopporta la violenza sullo schermo. Partenza strepitosa con un film ( un cortometraggio perfetto ) nel film, dove ci viene presentato il protagonista, l’eroe bello e impassibile, calmo e risoluto, che conduce due rapinatori al sicuro dalla polizia. In seguito avremo un’ambientazione notturna stupefacente, che può ricordare le storie di Elmore Leonard e tanti altri che non conosco, cullati dalle tastiere di Cliff Martinez ( proprio lui: ex batterista dei RHCP. Mistero nella colonna sonora: nei titoli di testa io ho letto Angelo Badalamenti, che però pare non c’entri nulla, e poi ho chiaramente ascoltati due pezzi di Trent Reznor, eppure nessuno ne ha parlato nelle recensioni, mah ), da alcuni pezzi stile anni ’80 azzeccatissimi, che creano una specie di viaggio fra Blade Runner ( le panoramiche sulla metropoli e i synth ), tutto il pulp possibile e vario cinema ( il protagonista che impugna il martello è “Old Boy” ). Nella prima parte c’è una rarefazione di parole e azioni, c’è la storia di due persone che pian piano si conoscono, si guardano sempre più da vicino, tutto così perfetto, come il protagonista quando guida; è un asso, che si tratti di scene per i film d’azione che gira o di rapine, o quando ripara auto nell’officina dove lavora. Poi arrivano i cattivi, e il nostro eroe non è da meno. Lascia senza fiato, per alcune scene d’azione, per l’improvvisa efferatezza, per gli sguardi di chi sta per perdersi. Le sonorità risplendenti fanno presto a rabbuiarsi, a sommergerci di cattive vibrazioni, nelle storie c’è sempre qualcosa che va storto e lo sappiamo, ma vogliamo sempre sapere come va a finire, soprattutto in un film come questo. Farebbe il paio con “Bittersweet Life”, film sud-coreano di qualche anno fa tra i miei preferiti in assoluto, però appunto il primo amore non si scorda mai, e così lo lascio a qualcun’altr*.


TOM BOY – FRA 2011, 84’. Regia di Céline Sciamma. Facce da schiaffi, i ragazzini. Laure, fra poco comincia la scuola, e la scambiano per un ragazzo, e lei ci prende gusto, e fa amicizia con un gruppetto e una ragazzina che piace a tutti e che si innamora di un equivoco, un biondino che sa pure giocare a calcio. Uno di quei film in cui ti metti seduto in sala e guardi, o meglio contempli, assorto nelle vite tranquille, le nostre vite fortunate per chi è fortunato, guardi gli altri giocare, crescere, scoprirsi.

venerdì 23 dicembre 2011

Risus abundat in ore stultorum


NON CI RESTA CHE PIANGERE – ITA 1985, 113’. Regia di Roberto Benigni e Massimo Troisi. A questo film è legata una delle più belle risate che mi sono fatto da piccolino, precisamente alla scena della dogana ( Ehi?! Chi siete?! Quanti siete?! Cosa volete?! Un fiorino!! ) e dunque caro mi è. Me lo sono andato a rivedere e sono rimasto sorpreso intanto di ridere ugualmente moltissimo, magari per cose che mi ero dimenticato, e poi di trovare un film bello anche da vedere, da seguire. Benigni e Troisi assieme sono favolosi, da mettere nella storia evolutiva dell’uomo. La storia comincia con questi due amici, “colleghi” ( uno è insegnante, l’altro bidello nella stessa scuola ), che aspettano davanti al passaggio a livello di un posto fuori porta, e che stufi dell’attesa cercano un’altra strada; la benzina finisce e mentre scendono dalla macchina per cercare aiuto vengono sorpresi da un temporale. Trovano una casa dove passare la notte e all’indomani si risvegliano nel 1492, “quasi Mille-cinque”. A Frittole. A Benigni viene in mente di fermare Cristoforo Colombo, ufficialmente per impedire la “scoperta” dell’America e lo sterminio degli Indiani, sotto sotto perché quello che ha mollata la su’ sorella l’è americano.



IL RITORNO DI CAGLIOSTRO – ITA 2003, 100’. Regia di Daniele Ciprì e Franco Maresco.È il primo film che vedo dei due, e non conosco neanche Cinico tv o altri lavori, e sono strani forte. Passano dalla trivialità pura a scenette surreali mentre scorrono sullo schermo i personaggi più improbabili. È il finto racconto delle vicende della “Trinacria Cinematografica”, la Hollywood siciliana che negli anni ’50 produsse i meglio film che si potevano produrre. Fino all’ultimo, indimenticabile, “Il ritorno di Cagliostro”. Tutto viene raccontato come un reportage dei giorni nostri sul ritrovamento della pellicola di detto film, con interviste ai critici e ai superstiti dell’impresa. Le riprese della lavorazione del film, il backstage, e la storia dei fratelli La Marca scultori artigiani che sognano di fare il cinema, assoldati dal Cardinale Sucato ( dietro a tutto c’è Lucky Luciano ). Si possono fare film di qualità come fossero film di serie b o zeta, prendendo per il culo forse il cinema italiano e regalando cartoline eterne di squallore comico.

domenica 18 dicembre 2011

Trova l'intruso

Premessa: ultimamente sto vedendo spesso dei film documentari, cercherò di segnalarne il più possibile.
Nel link seguente diverse tracce da seguire: http://www.leparoleelecose.it/?p=2369




TROPPO BELLI – ITA 2005, 97’. Regia di Ugo Fabrizio Giordani.
Perché ho visto questo film? Perché figurava alla voce “genere sperimentale” nel grande archivio mymovies. È brutto? Sì, è brutto. Lo dobbiamo vedere? No, non credo. Perché ne parli? Per prendere tempo, fare il simpatico, far vedere che anche da un film brutto il fine recensore trae l’espressione filmica più autentica, il fotogramma salvifico che gli spiriti retti stavano aspettando. Ci siete ancora? Comunque, Costantino e Daniele sono due gran bonazzi ed è giusto che anche le ragazzine degli “anni zero” abbiano quello che generazioni di maschietti hanno avuto dal cinema trash ( per quanto fuori tempo massimo data l’enorme disponibilità che offre la rete ); docce comprese, pure evidentemente più caste. Per esempio per vedere Corona nudo bisogna rivolgersi a Videocrazy di Eric Gandini. Fra quattro o cinque sorrisi strappati uno è stato per una scena carina: alla notizia della frattura fra Costantino e Daniele, due ragazzine provano a darsele di santa ragione, manco stessero parteggiando per Michelino Bakunin e Carletto Marx. Curiosità: c’è Ernesto Mahieux, inquietante tassidermista ne L’imbalsamatore di Matteo Garrone. Che altro? Basta così.



SILVIO FOREVER – ITA 2011, 80’. Regia di Roberto Faenza, Filippo Macelloni.
Che strano. Ho 26 anni e ho visto nascere il fenomeno Berlusconi politico, ne parlo addirittura in Internet. Riguardare i vecchi spezzoni di interviste, comizi e apparizioni varie, assistere poi al racconto di questo simpaticone capace di arrivare al fianco di altri uomini di potere. Il fascino che possono avere certi ruoli tutto sommato è scontato, qualcuno nelle società deve pur avere potere, per cui diventa straordinario. Il documentario è godibile, alle volte si sorride, altre vengono i brividi, non c’è bisogno di ripetersi le malefatte del Nostro, e comunque in questo paese abbiamo avuto vent’anni di Mussolini, abbiamo avuto Andreotti e Craxi, più o meno vent’anni di Berlusconi. Se conoscessimo meglio altri paesi non credo cambierebbe molto. Nel frattempo i diritti civili sono stati conquistati a forza di lotte e sacrifici da altri, e quando si ha la possibilità di conoscere le loro storie, ad esempio leggendo Donne Guerra Politica, esperienze e memorie della resistenza ( seguendo il link c’è il pdf dell’intero libro ), si avverte molto di più il legame umano che cerchiamo per conoscere il mondo. Di Berlusconi non me ne frega niente, non mi interessa la sua vita, i suoi soldi e tutto il resto; rimango a disposizione ( nei limiti delle mie possibilità e fragilità ) per dare una mano a vivere meglio.



ALISYA NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE – 2009, 38’. Regia di Simone Amendola.
Una scheda e il trailer. Raitre lo ha trasmesso da poco, ma dovrebbe trasmettere questi documentari a rotazione, non una volta sola. Si va nella provincia romana, cullati da un pianoforte per niente rassicurante, che solo raramente si concede delle aperture che paiono ricordare il Jarrett di Caro Diario. Persone di diversa provenienza raccontano frammenti di convivenza a Cinquina, manco fosse Spinaceto, dove non c’è niente da fare. Una coppia con una bambina nata da poco finalmente con la casetta e la voglia di fare le cose per bene. Toccante.

mercoledì 14 dicembre 2011

Musica per i denti del giudizio




La luce va e viene
( e così il tuo sguardo…
La mano trema mentre
( …si perde fra gli altri verso…
faccio ordine nel mio mondo
( …il giovane frastuono che fa eco…
in cerca di applausi
( …alla passione inespressa…

E tu non sai a quale distanza mi tengo dal precipizio
seppure fa male non mi butto, non salto e non provo a volare
pure se in questo c’è un po’ di tristezza,
come a Natale.

sabato 10 dicembre 2011

KISS KISS BANG BANG ( BULLI E PUPE )



LA RABBIA GIOVANE – USA 1973, 94’. Regia di Terrence Malick.
Beh, non sappiamo se ‘sto ragazzo sia proprio incazzato, in fondo voleva solo andarsene con la sua ragazza, poi prima il padre di lei poi un po’ troppa gente si è messa di mezzo ed è un attimo che ti ritrovi sulla sedia elettrica. È un bel tipo, glielo dicono tutti, si atteggia a James Dean e spara alla gente “come fossero mosche” parole della saggia e distratta compagna di viaggio, due attori più azzeccati non si potevano scegliere per questo film. Dopo aver visto i film di Malick tornando al primo si colgono i punti che interessano l’autore e che ritornano, come nel suo ultimo “Tree of life”; si parte dalle stradine placide lungo i viali che costeggiano le case con giardino ormai conosciute da tutte, i dettagli quasi documentaristici sulla natura, la voce femminile che racconta il film, che si chiede come sarebbe la vita se avessimo fatto altre scelte. C’è un dialogo fulminante nella sua asciuttezza tra Holly, la ragazza, e una appena incontrata con il suo compagno, che Kit deve rinchiudere in un seminterrato in mezzo ai campi per non farli parlare. Holly chiede alla giovane se ama il suo ragazzo, l’altra risponde che non lo sa, poi Holly dice che deve stare con il suo, perché lui si sente in trappola ( a dire il vero il doppiaggio italiano qui si inventa “è disperato dentro di sé”, mentre i sottotitoli dicono “si sente in trappola” più simile all’audio originale ). In uno scenario desolante e magnifico questi due scapestrati se la spassano per qualche tempo, non sanno bene cosa vogliono e neanche come ottenerlo, in qualche modo ci provano.



CITY OF GOD – BRA 2002, 130’. Regia di Fernando Meirelles, Kátia Lund.
4ore compresse in poco più di 2, e i sixties e i seventies, favelas, storie intrecciate, fili da seguire riannodare raggomitolare sciogliere tagliare Bum! Già solo la prima scena dice tutto, una gallina scappa dal suo triste destino gastronomico nelle viuzze impossibili della Città di Dio, inseguita da Zé Pequeno ( il sociopatico che tutti vorrebbero come amico ) e la sua banda, poi una volta in strada alla prima macchina che passa si mette a camminare ( ma le galline camminano? ) tutta impettita, poi arriva il protagonista Buscapé, che sogna di diventare fotografo in mezzo a quella bolgia dove però le occasioni per scattare ( in ogni senso ) non mancano e via parte il film, che è un turbinio di inquadrature sequenze e quella roba fica che concentra una marea di informazioni in un battito di ciglia. Le storie del trio tenerezza ( vi dico solo banane e DP ), Bené, il bandito più fico che c’è, Mané Galinha che deve vendicare la sua ragazza e finisce dentro dopo la guerra tra bande e pare che è successo davvero, intervista alla tv compresa. La droga, il sistema, raccontato come una “gomorra” do Brazil, fino ai randagi, i bambini di strada, pistole alla mano, il futuro che avanza. È tutto giocato sui contrasti appiattiti, un attimo ridi l’attimo dopo muori, le risate si sovrappongono al sangue, al delirio, alla crudeltà insensibile, davvero laggiù si spara alla gente come fossero mosche.





ELEPHANT – USA 2003, 81’. Regia di Gus Van Sant.
Riposo assoluto, uno si mette comodo e guarda un biondino proprio caruccio camminare e camminare, un saluto qui un sorriso là, e poi il laboratorio di fotografia, e la mensa e il parco fuori, ma questi a scuola non fanno mai un cazzo? Poi uno va su internet, dal suo rivenditore preferito di armi e tra una sonatina di Beethoven e un videogioco per allenarsi si fa tardi ed è ora di andare a dormire, che il mattino dopo si spara. La strage alla Columbine o quella ultima di Utoya dànno spesso modo di cominciare un bel discorsetto di sociologia, a me l’unica cosa idiota che è venuta in mente guardando il film è che dove tutto è perfetto qualcosa deve riequilibrarlo, noi abbiamo le scuole che cadono a pezzi, la carta igienica da casa, gli insegnanti meno pagati d’Europa e così ci accontentiamo delle risse di una volta. Oppure: semplicemente dove è possibile acquistare così facilmente delle armi, qualcuno le userà altrettanto facilmente. Comunque dovrebbe uscire il nuovo libro di Steven Pinker sul declino della violenza nel nostro mondo, speriamo non costi troppo.
Tornando al film, mi ha sorpreso rivedendolo l’uso del sonoro, tenue, preso dall’ambiente mi pare e rimescolato nelle scene. E nell’insieme quest’aria pallida e noiosa, la quiete prima della quiete.



DEAR WENDY – USA 2005, 105’. Regia di Thomas Vinterberg ( quello di Festen )
L’ho visto tempo fa e non tutto mi ricordo, però mi sono piaciuti questi specie di Dandies un po’ Goonies, un gruppetto male in arnese, sfigati se non fosse una pessima parola, in cui ognuno ripone il suo coraggio in una pistola che non mostrerà mai in pubblico, che userà soltanto per esercitarsi di nascosto, trovare il proprio stile. Poi il film si perde quando per i ragazzi è ora di uscire allo scoperto e di sparare sul serio, però un’occhiata la merita.


BONUS TRACKS:



mercoledì 7 dicembre 2011

Rumori fuori scena




Precauzioni: si consiglia l'ascolto distesi su di un letto o un divano, comunque il più fermi possibile. Per i reclami attendere almeno 5 minuti di riflessione.

martedì 6 dicembre 2011

Chi ha paura del buio?



COLOUR FROM THE DARK – ITA 2008, 92’. Regia di Ivan Zuccon.
Il film prende spunto da un racconto di H.P.Lovecraft ( 1890 – 1937 ), The colour out the space, uno fra i preferiti dello stesso autore, nel quale in seguito alla caduta di un meteorite l’acqua di un pozzo viene contaminata e così pure la famiglia che se ne serve, compresi i campi coltivati e le bestie che allevano. Il racconto si basa tutto sui cambiamenti cromatici che colpiscono i frutti e la vegetazione tutta, oltre che la trasformazione fisica che colpisce la zona intera. Ho trovati curiosi un paio di passi: “I fiori di campi diventavano sinistri e minacciosi”, e fin qui; “e gli alberi insolenti nelle loro perversioni cromatiche”. Insolenti?. Oppure: “Gli aster e le verghe d’oro fiorirono opachi e distorti, e le rose, le zinnie e le malverose, avevano un aspetto così blasfemo che il figlio maggiore di Nahum, Zenas, le tagliò”. Il film viene ambientato in Italia, nel 1943, nelle campagne, dove vive una famiglia composta da marito, moglie e la sorella di lei, quest’ultima di vent’anni circa, ma mentalmente ancora bambina, incapace anche di parlare, e con una bambola di pezza che crede viva. Gli effetti dell’acqua all’inizio paiono miracolosi, raccolti prosperi in tempi record, il ginocchio dell’uomo completamente guarito, e soprattutto la sorella di lei che finalmente parla e comincia a prendere coscienza di non essere più una bambina. Poi però le influenze della cosa venuta dallo spazio si fanno minacciose. Qui il film prende tutta un’altra piega rispetto al racconto e da un lato la cosa si fa meno interessante, dall’altro per renderlo al meglio sarebbero serviti più soldi per gli effetti speciali, almeno credo. La donna infatti diviene completamente posseduta, un demone assassino, e cominciano a fioccare i morti. Si potrà trovare poco coerente la possessione demoniaca con gli effetti di un meteorite, ma almeno il film compensa con buone dosi di brividi. Efficace ance la resa visiva, o meglio, per buona parte del tempo ho trovato troppo sparati i colori nelle scene all’aria aperta, però poi si apprezzano meglio nel contrasto cui si assiste nel finale, quando calerà la coltre di polvere e morte, dovuta agli effetti del contagio portato da questa strana forza aliena.




INSIDIOUS – USA 2010, 103’. Regia di James Wan.
Beh, era da molto tempo che un film non mi spaventava come lo ha fatto questo. Non proprio come lo fecero Shining o The ring, ma pure Profondo rosso ( visto alle 4 di notte, in casa dei miei nonni, da solo, che poi quando finiscono i film ti scappa sempre di fare pipì e il bagno sta in fondo al corridoio ), ma ci si avvicina. Si parte con i classici del genere, famiglia che si stabilisce in una nuova casa, uno dei figli cade ed entra in uno strano coma. Dai test risulta tutto a posto, però lui non si sveglia. Cominciano ad avvertirsi rumori, oggetti che si spostano da soli e allucinazioni varie. La madre è terrorizzata e la famiglia si trasferisce di nuovo. Ma anche nella nuova casa sarà lo stesso, così si ricorre prima a un prete, ma subito dopo a due acchiappa-fantasmi un po’ nerd un po’ no, i quali vista la situazione preoccupante ricorrono alla loro sensitiva di fiducia. Qui comincia la parte finale del finale, magari troppo confusionaria ma sempre all’altezza. Mi sono piaciuti molto i momenti di tenerezza famigliare, su tutti una scena in cui la madre mette su un disco ( se non sbaglio questo di Ludovico Einaudi ) e poi prende il sacco della spazzatura e lo porta fuori, e la camera prima la segue da vicino e poi la lascia allontanare fuori casa mentre il disco si interrompe e parte un’altra musica, tipo quelle anni ’30 non so, e quando la donna sta per rientrare dalla finestra vede una figura che balla in casa e poi scappa. Poi quando arrivano gli acchiappa-fantasmi diventa una figata, mi sono andato a prendere da mangiare per finire di vederlo. Chissà magari sto esagerando e in realtà è poca cosa, però mi ha preso e dunque lo consiglio.




ALTITUDE – CAN/USA 2010, 90’. Regia di Kaare Andrews.
Questo film chiede molto allo spettatore in termini di “sospensione della credulità” ( così mi ricordo che si dice ), e inoltre dal momento che le cose si fanno più incredibili viene meno anche la tensione, che è data proprio dalla fattibilità degli eventi narrati ( ma quanto scrivo male! ). Però non è male affatto. La situazione vede 5 giovani partire con un aereo affittato per andare a vedere un concerto; a pilotare il velivolo una dei 5, che perse la madre, anch’essa pilota, proprio in un incidente aereo, che uno dice giustamente “ma allora ce fai?”. Gli altri passeggeri sono il cugino di lei, una coppia di fidanzati e il nuovo ragazzo della pilota, molto teso all’idea di partire e lettore di Sartre, che uno pensa “e ‘sti cazzi” e invece no, a 10.000 e più metri d’altitudine fa la differenza eccome. In volo cominciano ovviamente i problemi e la situazione precipiterà fino ad un finale molto creativo.




PREY – FRA 2010, 85’. Regia di Antoine Blossier.
Horror francese di buona fattura, senza tanti fronzoli, concentrato il più possibile sulla violenza animale e umana. C’è una coppia che sta per avere un bambino; oh, sarà il quarto film horror francese che mi capita che comincia con una incinta, che è vero che grazie a buone politiche hanno aumentato la natalità ma non c’è da farlo notare sempre. Comunque il bambino non lo può avere perché la sua famiglia possiede una grossa azienda di fertilizzanti e lei deve stare dietro al lavoro, le cose vanno male e ha bisogno di altri sei mesi, di figli ne faranno altri dice. Lo dice suo padre, e il marito ci deve stare. Solo che c’è stato un incidente in una riserva, dei cervi ammazzati dai cinghiali e così parte una spedizione di caccia in famiglia, e l’uomo, medico, si aggrega con loro. Il problema è che il fertilizzante è stato reso tossico, ha contaminato le falde acquifere facendo strage di animali e rendendo i cinghiali ancora più cazzuti. Ma non finisce qui, anche in famiglia non si sa chi è più bestia, per cui fino alla fine non si può stare tranquilli. Girato in larga parte di notte, non è neanche violentissimo, rispetto alle ultime uscite che facevano a gara nello spargere sangue, quindi adatto ai più, si può dire.

giovedì 1 dicembre 2011

A cosa servono gli amori infelici



Il protagonista è un uomo di 58 anni che è ricoverato in attesa di operarsi. Nel frattempo scrive lunghe lettere con le quali conosciamo eventi del suo passato. Ci sono due storie in cui lui si nega a due uomini, un parroco e un giovane al tempo poco più grande. Il protagonista ha lavorato per tutta la vita in un ufficio a scrivere pro-memoria, discorsi per il presidente di turno, infarciti di citazioni aforismi ( non al livello dello psicanalista di scuola livornese ), buoni per ogni occasione. Si dice nel testo che sappiamo tutto degli amanti infelici, ma pochissimo degli amati infelici. Si ribaltano un po’ le cose, e si prova a dire che “alla fine l’innamorato guarisce, ma sa di aver perduto qualcosa. Un po’ del suo slancio e della sua generosità. Anche chi è stato amato ha perduto tesori a sua disposizione di cui forse non ha mai saputo nulla, destinati a scomparire appena l’altro è disintossicato. Quella volta, ci siamo impoveriti entrambi, amico mio”. Chissà, il protagonista è uno che non rifugge dalla passione, relegandola però a faccende da bassi istinti, da “piano di sotto” come gli rimprovera l’amico, il “piano di sopra” è per l’arte, la musica, oppure per fuggire da possibili umiliazioni, per non sentirsi rifiutati. “Sai capire i libri, ma non sai leggere i sentimenti delle persone, neanche quando ti riguardano”.

Gilberto Severini ha scritto diversi libri, di lui ho letto anche “Il praticante”, e insomma mi piace come scrive.

Il titolo può essere una domanda o un'affermazione, non so, metto una traccia per i curiosi ( occhio però perché è una scena finale, SPOILER )

Il commento sonoro:

martedì 29 novembre 2011

lunedì 28 novembre 2011

Berenice and Ligeia were going to...

Premessa. I film in questione non sono usciti in Italia e non so se usciranno.




THE WOMAN – USA 2011, 101’. Regia di Lucky McKee.
Un horror particolare, quasi svuotato di tensione ma con impennate di brutalità che lasciano il segno. C’è una stana famiglia, il padre che è quello che nella vita si trova più a suo agio è anche il più fuori di tutti, una specie di nazi maniaco in completo da lavoro tazzina di caffè in mano; la moglie ha un che di angoscioso, è trattenuta in qualsiasi cosa che fa o dice. La figlia maggiore è in pena, forse è incinta. Il fratello più piccolo passa il tempo a fare tiri a canestro tenendo il conto degli errori, e coltivando la stessa follia del padre. La vita procede per immagini lente con musica sotto tipo black hole sun o muscle museum ( intendo i videoclip, le musiche in sé ricordano piuttosto i pixies ) si capisce che va tutto in frantumi ma la sofferenza tiene attaccati i pezzi, e poi c’è il padre nazi a dare gli ordini, calmo e compassato of course. Finché arriva la sorpresa: il padre nazi un giorno va a caccia e mentre punta il suo bel fucile con tanto di mirino tra gli alberi scorge una donna intenta a farsi il bagno in un fiume, vestita di stracci, coperta di fango e intenta a cibarsi di pesci vivi presi con il coltello. Negli occhi del padre nazi scatta un ideuzza birichina che potrei raccontarvi ma è meglio se la scoprite da soli.




EDEN LAKE – UK 2008, 91’. Regia di James Watkins.
Sebbene ricalchi serie di horror visti e rivisti, a partire dai terribili l’ultima casa a sinistra e I spit on your grave, rimescola le carte e restituisce una visione deprimente dello stato delle cose, oltre a colpire duro senza indulgere nel compiacimento dei titoli citati sopra o dei film appartenenti più o meno ai sottogeneri detti rape & revenge o torture porn. Una giovane coppia parte per trascorre il week-end in un posto fuori mano, dove c’è un lago e i boschi e tutto il resto. Sono belli, benestanti e di buone maniere. Si trovano a condividere lo spazio con dei ragazzi problematici, che disturbano la quiete della coppia. Sono strafottenti e violenti, c’è poco da fare. L’uomo ha un diverbio con loro e la situazione ovviamente precipita. Il gruppo ruba l’auto della coppia, poi c’è un litigio; l’uomo per errore uccide il cane del gruppo e comincia l’inferno. C’è un che di malsano in film del genere, e in effetti c’ho pensato a lungo prima di recensirlo, anche durante la visione sale un certo disagio nel ritrovarsi a voler vedere quello che succede, nonostante il film sia condotto con rigore e realismo, al punto di punire in qualche modo la curiosità.

mercoledì 23 novembre 2011

Poesia in forma di nota /25


*
comunque:
ho impiegato circa un’ora a restaurare
quel poco di risentimento che ti porto
(ma, pulendo e ripulendo, i conti tornavano sempre a tuo favore)
(e questo mi faceva ancora più incazzare)
e della vita che tu fai
non oso chiederti
se il rancore per te è tutto alle spalle,
perché il mio è ancora qui davanti

* non mi succede quasi mai
(dormo, e bene,  quasi sempre)**

** tranne questi casi molto rari
in cui sogni successivi di struttura simile
- sempre io che cado, o che faccio una cazzata,
o che ammazzo qualcheduno e la faccio sempre franca –
mi ricordano quello che ho deciso di rimuovere***

*** (sono svogliati, questi sogni,
per la piattezza dei simboli che offrono;
ed è impossibile difendersi)

giovedì 13 ottobre 2011

Un programma credibile per la Sinistra Italiana

Non seguire il discorso del premier e relativa discussione alla camera libera molto tempo ai nostri valenti deputati della sinistra. 
Volevo perciò proporre alla loro attenzione un programma minimalista in due semplici punti, fotografato dalle parti della Valle d'Aosta (concretezza montanara, difatti). 
Con questo, secondo me le elezioni si vincono (anche se metà programma, noteranno i più scaltri, è copiato a Forza Italia/ PDL)


(P.S. Sono l'unico ad aver riso moltissimo per uno dei motivi addotti da B. circa la necessità di cambiare nome al PDL, e cioè che le persone lo chiamano LA PDL?)

mercoledì 12 ottobre 2011

Finnegans Wake, il nuovo romanzo di Domenico Scilipoti


E' un periodo incasinato, ma presto ritornerò a postare con un minimo di continuità (da quanto lo ripeto?) e ci sono pure delle ottime recensioni di Stefano in coda (grazie Stefano!)
Intanto: ho trovato su nonleggerlo un comunicato dell'ottimo Scilipoti, l'uomo delle 65000 visite alle favelas brasiliane, quello che il 14 dicembre si è immolato per la patria ma che ora ci sta ripensando. Ve lo dono, perché è un pezzo di bravura gaddiana/joyciana quasi incredibile.
Sono lacerato dal piacere, nella mia individualità personale e familiare.



Roma, 08/10/2011. La insensibilità di Chi pensasse con aprioristici veti di impedire soluzioni utili, reali, definitive ed attese a dimostrare esclusivamente la insopportabile distanza e la tracotante diffidenza che, purtroppo, insistono tra detentori del potere e rappresentanti dello Stato esclusivamente formale e cittadini comuni facenti parte unicamente dello Stato reale, è a terribilmente dimostrare quanto si pensi di poter calpestare utilità sicure, vantaggi pratici ed attese popolari indilazionabili, coniugando la sussistenza di farraginose, non più tollerabili ed insuperate, sterili pendenze, peraltro costose ed assolutamente carenti di vantaggiosi riscontri, con soluzioni di immediatezza ed ovvia utilità. Con ciò è a significarsi quanto l’essere pateticamente teoretici congiunga e faccia attanagliare il bieco conservatorismo di facciata, privo di efficacia e latitante di praticità, concretezza e sensibilità alle contrastanti esigenze sia di taglio economico e finanziario statuali come anche alle attese più sentite di milioni di cittadini indebitati e lacerati nella propria individualità personale e familiare.

On. Dott. Domenico Scilipoti
scilipoti_d@camera.it
www.domenicoscilipoti.it

lunedì 3 ottobre 2011

Cosa racconteremo dei film che (non) vedremo di questi cazzo di anni zero




(LA RUBRICA DEI FILM DI STEFANO - Stef, vai a vedere Sex and Zen 3D e ce ne fai la recensione?)
THERE WILL BE BLOOD – USA 2007, 158’. Regia di Paul Thomas Anderson.
Raramente mi è capitato di vedere un film con una tale forza espressiva capace di farti rimanere immobile al punto che quando rifiati dopo una scena hai le gambe che ti fanno male. Prima se pensavo al cinema puro pensavo a Kubrick o Leone, adesso mi viene in mente subito questo film.
I primi quindici minuti, favolosi, con una sirena ( Jonny Greenwood, suoni con la band più fica e sei pure un gran compositore! ) sparata verso le frontiera, dove un uomo è in cerca di sangue nero.
Certo bisogna menzionare Daniel Day-Lewis ( e bisogna vederlo in originale sennò non vale ) e accennare alla storia. Daniel Plainview è uno che sa trovare i pozzi buoni, porta con sé il figlioletto orfano del suo amico, sia per devozione che per far buona impressione con la gente, e un giorno si imbatte in un ragazzo che dice che dove abita lui di petrolio ce n’è a volontà. È la svolta. Plainview accresce sempre di più le sue fortune, arriva a rifiutare contratti milionari per fare di testa sua e portare il petrolio ovunque senza bisogno di nessuno. Ma più il petrolio viene estratto più cresce il suo odio, verso tutti. Verso il predicatore con cui deve scendere a patti per farsi vendere le terre dalla gente che pende dalle sue labbra; verso suo figlio, rimasto sordo dopo l’incendio alla torre d’estrazione, verso chiunque provi a vivere in maniera serena. Musica: Fratres di Arvo Pärt e questo di Brahms. Poi i pezzi di Greenwood: Popcorn Superhet Receiver, Prospectors Arrive e Convergence.


LA ZONAMEX 2007, 97’. Regia di Rodrigo Plá.
Questo film invece ti attanaglia con la miseria umana, con il razzismo e la ferocia di cui siamo capaci. Ambientato in Messico, ma pare che nel futuro prossimo sorgeranno “zone” in diverse parti d’Occidente, dove all’interno di una grande città sorge un quartiere speciale, una zona appunto, con i muri e i recinti, con l’ingresso e l’uscita controllati da guardie private, con un proprio sistema di video-sorveglianza e un’assemblea di quartiere. Soprattutto la possibilità di negoziare leggi private in accordo con lo stato. Non bisogna per forza essere straricchi per vivere nella “zona”, basta non essere come i poveri là fuori, la feccia. Succede che tre ragazzi entrano di notte grazie alla corrente che salta, irrompono nella casa di una signora per derubarla e uno di loro la ammazza. Interviene una guardia che uccide due di loro e però a sua volta viene uccisa da un residente armato. Il quartiere cercherà dapprima di non far sapere niente alla polizia, poi quando non sarà più possibile, e intanto il ragazzo superstite è in trappola, si metteranno d’accordo con le solite mazzette. Alejandro, uno studente non del tutto convinto della bontà di vivere dietro un muro, finisce per fare amicizia con Miguel, il ragazzo superstite, lo filmerà mentre confessa i suoi reati, e cercherà di farlo uscire dalla “zona”.  



CONSUMATI. Da cittadini a clienti – Benjamin R. Barber ( 2007 anno d’uscita, 2010 anno di pubblicazione in Italia)
Barber considera il capitalismo come malato, non certo come una malattia. Descrive il cambiamento avvenuto nell’essere passati da una società spinta dall’ethos protestante ( parlando spesso del saggio di Max Weber ) ad un ethos infantilistico, passando per la privatizzazione del cittadino fino alla società totalizzante, in cui il marketing conquista ogni spazio possibile. I passaggi che ho trovati attinenti ai due film sopra sono quelli in cui racconta i capitalisti di una volta ( addirittura Jakob Fugger ), parlando di Rockfeller, che mi ha ricordato il Daniel Pleinview del Petroliere. Così viene descritto Rockfeller, citando un passaggio dalla biografia scritta da tale Chernow: “nell’intento di imporre un ipertrofico desiderio di ordine in un industria senza legge e senza Dio, che poi era quella petrolifera, Rockfeller dimostrava una brama di dominio […] un atteggiamento di superiorità messianica, e un disprezzo per gli inavveduti che si mettevano sul suo cammino, oltre che una forma di crudeltà competitiva, mancanza di scrupoli e collusione su larga scala senza precedenti”. Tutto ciò comunque inserito nell’ottica dell’ethos protestante.

Per quanto riguarda il film messicano ho trovato questo lungo passaggio: “negli ultimi vent’anni abbiamo assistito all’esternalizzazione e alla privatizzazione delle funzioni di polizia nei paesi sviluppati e in via di sviluppo, ancora una volta guidate dagli Stati Uniti”. C’è un accenno alle carceri for profit, non più attente alla punizione e alla riabilitazione dei cittadini, ma alla competizione con altre aziende. Infine si arriva “all’assunzione di agenti di custodia privati e la creazione di comunità chiuse e segregate che caratterizzano sempre più le periferie americane, che tentano di isolarsi dal degrado urbano. A Parigi e Londra, la valenza è opposta: lì le ricche enclave del centro cercano di isolarsi dalle banlieue. L’isolamento è però inefficace: gran parte dei mali urbani, dalle droghe e dalle gang alle armi e alla delinquenza giovanile, hanno seguito le popolazioni del ceto medio che si ritiravano dalle zone centrali per rifugiarsi nelle fasce suburbane e nelle aree verdi decentrate. E i ghetti della periferia non isolano le élite del centro dalla violenza e dal caos, come hanno imparato i francesi nell’autunno del 2005. La privatizzazione della sicurezza non funziona un granché. Inoltre, isolare le comunità povere privatizzando la sicurezza per i ricchi vuol dire dividere il popolo e corrompere la cittadinanza democratica. Significa minare il concetto stesso di sicurezza pubblica, la cui legittimità dipende interamente dal suo essere costituita e applicata collettivamente. Distribuire i benefici della sicurezza in base alla classe o al reddito o permettere a gruppi di una comunità di creare una propria sicurezza privata significa, di fatto, abrogare il contratto sociale”. Ci sarebbe anche da menzionare il paradosso delle guardie di sicurezza private utilizzate nelle missioni all’estero ( vedi Iraq ), con la situazione assurda dell’ambasciatore statunitense protetto da esse invece che dai soldati. Oltre al fatto che gli appalti sono assegnati dagli uomini di governo che siedono nei consigli d’amministrazione delle società a cui vengono assegnati tali appalti. Senza contare che queste forze “speciali” in pratica non rispondono a nessuno.

lunedì 26 settembre 2011

I gravi problemi della città di Lecco


Impossibile non notare le locandine della Gazzetta di Lecco, sabato.
Problemi gravissimi, dalle mamme col SUV (chi non ricorda il "Puttanone col SUV" di Gino e Michele?) agli ex che si trasformano in stalker (incazzatissimi, probabilmente, perché sono stati lasciati dopo aver regalato il SUV)

venerdì 23 settembre 2011

Lista outing: pensavo non mi avrebbe sorpreso, e invece ...


leggendo la lista di "outing forzato" sui politici "gay ma omofobi"  devo dire che sono rimasto sconvolto dalla supposta gayezza di Calderoli. Adornato era facile, Milanese si dice in giro da un sacco (e idem del suo coinquilino), ma Calderoli mi pareva un maniaco eterosessuale.

giovedì 22 settembre 2011

la perduta arte del tradurre titoli

"Although You End Up Becoming Yourself" è un libro di David Lipsky su David Forster Wallace. In realtà l'intero libro è la sbobinatura di alcuni giorni di conversazione tra DFW e Lipsky, all'epoca inviato del Rolling Stone. Le cassettine registrate da Lipsky dovevano servire per un articolo che non è mai stato pubblicato, e Lipsky le ha recuperate dopo la morte di DFW.
L'ho letto, in inglese, quest'estate. Carino. In alcuni momenti fa venire voglia di picchiare fortissimo Lipsky: ha sottomano DFW, che incidentalmente dice delle cose fighissime o tristissime o verissime, e lui continua a chiedergli com'è essere diventati famosi. E insiste. Per quattro giorni.
In altri momenti, invece, a Lipsky gli si è grati, perché, incidentalmente, DFW, nonostante le domande sceme che gli fa l'intervistatore, dice cose fighissime.
Il titolo è una frase dello stesso DFW, pronunciata mentre parla dell'educazione ricevuta dalla sua famiglia, dal fatto che la sera leggessero in salotto tutti assieme e che i genitori fossero intellettuali e quindi abbiano stimolato da questo punto di vista sia lui che la sorella, ecc. DFW dice di essere contento di aver avuto un'infanzia e dei genitori del genere e si dice convinto che tutto questo ha avuto un'influenza sul suo essere scrittore "sebbene poi alla fine tu finisca per diventare te stesso".

Ecco. Nel momento in cui Minimum Fax si decide a tradurre e a pubblicare il libro di Lipsky, potevano lasciare qualcosa  di simile al titolo originale? Oppure scegliere un titolo meno di merda e meno da manuale di autostima di questo orrido "Come diventare se stessi"? E poi: "David Foster Wallace si racconta": ma de che? Ma perché abbassare il livello di quello che si produce, di default, anche se è rivolto a un pubblico idealmente medio alto? Se non l'avessi già letto lo boicotterei, a priori.



venerdì 16 settembre 2011

Visioni Estatiche Approssimative (la rubrica dei film di Stefano)


Premessa doverosa e imbarazzata: Ebbene sì, anche io talvolta faccio scorrere le immagini velocemente per saltare i pezzi noiosi. Sarà il caldo di fine luglio, il sonno che avanza, i film che vedo. In sostanza ho dato fondo ( naturalmente è impossibile, vedi una cassetta e ne registri due ) ai resti di nottate passate a reccare Ghezzi fuori sincrono.

LA VALLE CHIUSAFRA 2000, 144’. Regia di Jean-Claude Rousseau.
Visto per la gran parte di pomeriggio dopo aver inserito la modalità Tour de France ( d’ora in poi TdF ). Il TdF non è una manifestazione che si segue alla tv come il calcio o le corse, oppure la pallacanestro, la pallanuoto, il tennis. È una sorta di pennichella estiva prolungata di circa tre ore, cullati dalle voci dei cronisti; purtroppo Bulbarelli è passato dietro le quinte ma rimane Cassani, con la sua erre un po’ francese a spiegare i rapporti delle catene e tutto lo scibile ciclistico, compresi i piazzamenti di ogni corridore dal primo triciclo in poi ( sospetto che in realtà il ciclismo abbia una cosmogonia abbastanza flessibile per cui ogni ciclista ha una biografia possibile, con corse e vittorie personalizzate ). Non è che bisogna guardare il TdF ogni minuto, ci si stende sul divano, magari ogni tanto si sgranocchia qualcosa e si aspetta; un occhio ammirato al paesaggio, magari un pensierino di passarci le vacanze ( meglio ancora leggendo un articolo di Gianni Mura ); rilassati, fino alla fine. Se c’è un momento importante avvertono i commentatori alzando il tono di voce. Ecco, il tono di voce è il problema principale del rischio di seguire i film con tale modalità. Nel caso del film in questione, quasi totale assenza di sonoro e accenni di voce sempre cortesi ( en française ), l’abbiocco completo è un pericolo costante. Il film è diviso in capitoli, dai titoli naturalistici, e qua e là una voce spiega il perché del giorno e della notte, le piogge e i venti, ma a livello di prima elementare. Abbondanza di inquadrature fisse su scorci, paesaggi, fiumi, viottoli, sentieri; poi interni di case, cucine, letti, orologi, lavelli, armadi. Spesso ad inizio capitolo ci sono dei turisti. I momenti più vivaci sono stati due filmini di repertorio che riprendevano momenti di vita di alcune signore, i panni stesi al sole e cose così. Mentre lo stavo vedendo sul 3 davano Caterina va in città – ITA 2003, 90’. Regia di Paolo Virzì, film che mi piace sempre rivedere tranne nei momenti in cui il personaggio di Castellitto si rende ridicolo, cosa che mi provoca un senso di vergogna insostenibile ( giuro! ) e devo distogliere lo sguardo. La valle chiusa mi sà che siamo davvero in pochi ad averlo visto, riaffiorerà ogni tanto come gli amori sconfitti sul nascere, narrati con perizia da Cassani e Bulbarelli come le fughe dei giovani solitari ripresi sempre a pochi metri dall’arrivo. Ci avevano creduto, ci si crede sempre quando si parte, poi ti superano e resti a guardare.


THE EMBRYO HUNTS IN SECRET – Jap 1966, 72’. Regia di Kôji Wakamatsu.
Tutto in una notte. Pioggia battente, “non qui, andiamo in casa”. La casa non è arredata, qualcosa non va. La ragazza fa la commessa, però arrotonda con “il più antico” eccetera. L’uomo è pazzo, decisamente; è anche impotente o sterile, ma soprattutto è pazzo. Piange la mamma e la moglie fatte a pezzi in passato, oppure sono scappate ( nella follia non si capisce ), e vorrebbe ricominciare con questa nuova. La lega, la frusta, la ricopre di monologhi deliranti sui cani, la riduce a schiavetta  a quattro zampe. Finché dura. Cos’è che mi è piaciuto? Mah, direi le prime scene, alcune inquadrature. Strano il commento musicale, quasi sinfonico, per un film girato tutto in poche stanze. L’inizio invece bello, con una cantata rinascimentale ( mi ha ricordato il furbetto Lars di Antichrist ). Estenuante, pure lo avevo visto qualche anno fa.

VICINO AL MARE AZZURRO – URSS 1936, 71’. Regia di Boris Barnet.
Yussuf e Aliosha ( in genere la “h” diventava “k” ) approdano in un Kolchoz ( chiamato Luci del comunismo, i collettivi di lavoro in pratica ) del Mar Caspio, per lavorare come marinai e meccanici; si innamorano della stessa donna, che però rimane fedele al suo fidanzato temporaneamente lontano per la guerra. Un po’ di scazzi, alla fine se ne tornano a casa. Bello il mare, con la luce che pare oro. Bello visto dal mio schermo piccolino che pare un oblò. Bella la gente, coi fisici asciutti e gli occhi vispi.


SOTTO IL SEGNO DELLO SCORPIONE – ITA 1969, 100’. Regia di Paolo e Vittorio Taviani.
Strano film, davvero. Un gruppo di uomini che fugge da un’isola devastata dal terremoto e dal vulcano si rifugia in un’altra isola. Trovano una comunità ben avviata che cercano di convincere che la cosa migliore sia partire per il continente, per costruire lì, senza più vulcani di cui aver paura. Non sappiamo nulla di loro, la musica spesso copre quello che dicono, si colgono frasi qua e là, intenzioni, raggiri, violenze improvvise scandite da rumori fortissimi, sirene impazzite. Il compositore è Vittorio Gelmetti ( collabore per l’elettronica in Deserto Rosso ), uno di cui vorrei poter ascoltare più cose, ma sono difficili da trovare. All’inizio sembrava un film sulla lotta all’ultimo sangue, l’istinto di conservazione, poi invece no. Generazioni a confronto. Padri contro figli. Mistero.

giovedì 8 settembre 2011

(Sempre restando sul personale - serie 2 /1)


(primo episodio minimalista post-pausa: un paio così, e poi vedrò di tornare a fare qualche episodio un po' più strutturato!)

mercoledì 7 settembre 2011

Best Impression in Earth (La rubrica dei film di Stefano)



Premessa doverosa. L’ho visto due volte, prima al cinema poi a casa. Per rivederlo con più calma. La visione fu in un cinema all’aperto, in mezzo ai lamenti e agli sghignazzi. È troppo lungo, quando finisce, che significa questo, che significa quello. Una mia amica ( fresca rosa aulentissima, motivo principale di distrazione e agitazione interiore, bella e impossibile come le rovesciate, che quasi uno si accontenta di prendere il pallone e sognare, nell’attimo in cui si ricade a terra e la botta fa male al cuore ) ha provato a chiedere ad una signora se per cortesia poteva far stare buone le sue bambine, e si è sentita rispondere che tanto i dialoghi non c’erano.  

Nota alla locandina. Ho scelta quella con il piede di un neonato in omaggio a Gaia, nata da pochi mesi, mia nipotina. Così se ancora le sue foto non sono state messe su face book l’ingresso nel world wide web è assicurato.

THE TREE OF LIFE – USA 2011, 139’. Regia di Terrence Malick.
Un inno alla vita. Un maestoso, ambizioso inno alla vita. Un viaggio attraverso continui salti tra le vite dei personaggi, tra l’evolversi dell’universo e della Terra, ogni stato che si rinnova, ogni esistenza legata all’altra dall’energia, e prova a dire l’autore, dalla grazia, da Dio. C’è una famiglia, cui sappiamo sin dalle prime battute che incontrerà il lutto, la perdita di uno dei tre ragazzi all’età di 19 anni, nell’America anni ’50 delle messe ogni domenica e dei padri padroni; i momenti di crescita dei bambini, i loro giochi con la madre che è uno splendore e gli scontri con il padre ( musicista fallito dice lui: i musicisti non falliscono mai ) che esige di essere chiamato “Signore”. C’è la natura, osservata spesso dal basso verso l’altro, posando lo sguardo lungo i fusti degli alberi, attraverso i fili d’erba, verso il cielo, perfino sott’acqua. Lunghe sequenze per raccontare la nascita delle stelle e dei pianeti, i primi esseri viventi, i dinosauri e infine l’uomo. Poi le anime, tutte assieme, finalmente assieme per darsi gli abbracci che mancavano e dimenticarsi dell’odio trasmesso inutilmente. Ora: passata la sbornia dell’emozione, delle lacrime post-capolavoro, degli stati d’animo attraversati come se invece di due ore e passa fossero passati anni, dovrei fare degli accenni su alcuni aspetti tecnici, com’è d’uopo ( sì, d’uopo ) in questi casi. Per fortuna non faccio il critico e quindi mi limito a dire che ho trovato perfetto il modo di seguire i personaggi con la macchina da presa, come in una danza, nei giochi domestici come nelle arrampicate sugli alberi. Il film alterna tre scenari: quello principale della famiglia, quello del figlio maggiore ormai adulto che ripensa alla sua vita nel mondo moderno e quello più naturalistico tipo super quark per usare una similitudine almeno chiara. Le voci fuori campo dei protagonisti legano il tutto. C’è un’armonia iniziale, la famiglia, rotta da un lutto, poi si torna indietro a scoprire le altre magagne, la durezza del padre e la ribellione del primogenito, la sua scoperta dell’odio. Come potrebbe dire “Quèlo” la domanda non è tanto chi siamo dove andiamo eccetera, ma piuttosto come direbbe un altro “Che fare?”. Posta la nostra vicenda in un turbinio di eventi macrocosmici come abitiamo i nostri spazi, cosa ne facciamo della nostra energia? La risposta del film è affidata alla voce della madre: vivere amando, meravigliandosi, sperando. Quando il primogenito ( Sean Penn ) si ritrova a camminare alzando lo sguardo in mezzo ai grattacieli c’è un momento in cui si accorge di ciò che lo circonda e sorride. Uno di quei momenti speciali che a volte càpita di incontrare, un lampo di gioia. Ve ne racconto uno: qualche anno fa stavo andando in motorino per la campagna dalle mie parti e canticchiavo un po’ a voce un po’ mentalmente “Otherside” dei Red Hot Chili Peppers. Verso la fine della canzone c’è uno special in cui la tensione aumenta fino a sfociare nell’assolo distorto di Frusciante John, ed è il momento che più mi piace della loro musica ( ho molti dei loro dischi, regolarmente acquistati ). Bene, stavo percorrendo una salita proprio mentre cantavo lo special, dunque tensione su tensione, e meraviglia delle meraviglie scollinai sull’assolo di Frusciante con il sole rosso fuoco dei tramonti in faccia con una coincidenza oserei dire magica, e davvero in quell’attimo avvertii una gioia ricca, elettrizzante, piena di vita. Dimenticavo: le musiche, originali e non. Da ascoltare e riascoltare. C’è molta classica e mi pare anche sacra, ed è da brividi. Film lungo, rece lunga. 

martedì 6 settembre 2011

L'Oroscopo di Cinzia - Settembre e la lunazione in Vergine

(Riprendono le trasmissioni: domani i film di Stefano, dopodomani o venerdì la nuova serie di (Sempre restando sul personale), a seguire tutto il resto. Ben ritrovati a tutti!!!)


Settembre e la lunazione in Vergine
La luna nera in Vergine del 29 agosto ha aperto il nuovo ciclo settembrino di queste nostre vite e di questo luogo o mondo che condividiamo. La luna in Vergine vuole ogni cosa al suo posto, ogni persona indaffarata e immersa nel suo ruolo, mentre amministra, cura e conserva il raccolto di un intero anno.
Dato che le nostre braccia sono state strappate all’agricoltura, abbiamo perso il contatto spontaneo con il significato delle stagioni; ai ricordi di una settembrina infanzia agreste, però, appartiene quello dei fichi e delle vigne carichi di frutti maturi, quello delle noci che cadono dai rami… insomma, la terra a settembre emana un assortimento vario di cibi supercalorici, veri integratori naturali, e questo dovrà pur dire qualcosa: che dobbiamo farci forti, perché arriveranno mesi, dopo questo, in cui dovremo affrontare il freddo e il buio e la fatica di lavorare in condizioni ostili per procurarci il necessario per vivere.
Settembre, però, è un mese ancora luminoso e allegro, costellato di feste del vino e di gente che canta “ma che ce fregaaaaa, ma che ce’mportaaaa” e il giorno dopo si ritrova incolonnata in direzione ufficio, pallida e cianotica apparentemente a causa di uno strangolamento da cravatta stretta, in realtà provata da un vino cattivello che pareva più buono man mano che si buttava giù. Ebbene, la tradizione suggerisce che la luna di settembre sia inzuppata di vino e rossa, luna di sangue che non si sazia.
Ma com’è, segno bono o segnaccio?
Ariete
I nati in Ariete attraversano un momento di stasi dopo aver tirato le somme dell’ultimo passaggio di Giove. Alcune belle realizzazioni e il riposo estivo sono state le premesse di questo mese meno interessante. Mentre Saturno continua a imporvi un senso della giustizia che stentate a comprendere, Urano, il signore dell’“hunc et nunc” sta passeggiando all’indietro nel vostro segno: il senso pratico potrebbe esplodervi fra le mani nei panni di un problem solving fin troppo creativo. Si raccomanda una buona nutrizione e idratazione.
Toro
La luna nera in Vergine unita a Venere, fatina dolce e buona, ha irradiato del suo incoraggiante trigono la prima decade del Toro, proprio mentre Giove è diventato retrogrado, ovvero la fortuna ha cominciato a tornare sui suoi passi. Cosa fanno questi benefattori quando si voltano e sanno già che dovranno tornare ancora? Riflettono, e siccome sono saggi è certo che i loro pensieri saranno ben costruiti. Venere e Plutone vi fanno “ciao” dagli altri segni di terra: rispondetegli!!
Gemelli
Saturno in moto retrogrado vi sorveglia dal segno della Bilancia. È dura, eh? Per la terza decade, soprattutto, quanti pensieri gravi… Crescere per i gemellini è un’impresa ardua, ma Mercurio in sestile dalla terza decade del Leone offre un sollievo breve ma molto gradito, portando una bella notizia o una gita piacevole (o che so io… siete così riservati!). La lezione più importante da imparare consiste nel sapersi spostare attorno a un centro di gravità permanente, sapendo che svolazzandogli attorno non vi brucerete: non siete falene.
Cancro
Marte è nel vostro segno e vi rende carichi o sovraccarichi. Saturno in quadratura dal segno della Bilancia continua a presentarvi il conto delle vostre contraddizioni o, come le chiamereste meglio voi, mille sfaccettature. Cercate di conciliare le vostre diverse istanze senza metterle a tacere anzitempo e senza agitarvi. Quello che farete adesso potrà somigliare a un’impresa ben progettata o a un incentivo alle vostre frustrazioni, a vostra discrezione. Le galline, quando non trovano la via di fuga, ficcano il becco ovunque finché non indovinano la presenza di un pertugio. Ma il mondo, come si evince da alcuni rapidi calcoli, è più grande di un pollaio.
Leone
Mercurio nella terza decade migliora la vostra capacità di comunicare e adesso sapete davvero “vendervi bene”. Un’ottima arma per contrastare temporaneamente la lenta opposizione di Nettuno, che vi confonde la mente e le mete da molto tempo. Vi esprimerete al meglio in questo periodo e avrete facili rapporti con le persone giovani. Il sestile di Saturno, d’altra parte, vi rende seri quanto basta e allora questo è un momento buono per lavorare bene e per raccogliere qualche successo senza dispiacere a nessuno.
Vergine
La lunazione è cominciata nel vostro segno, sostenuta dalla presenza di Venere: state bene e siete molto attraenti anche se, per innata modestia, non lo ammettereste mai e, comunque sia, vi state sicuramente dando la zappa sui piedi affinché nessuno dei vostri desideri possa avverarsi. Raccogliete adesso il frutto del lavoro di un anno intero e le persone che vi sono vicine avvertono la vostra maggiore energia e desiderano partecipare del vostro momento. Cercate di non sottrarvi, sarà davvero una bella festa!
Bilancia
Cosa resta di voi? Dopo che Saturno vi ha investiti del suo peso, è passato e ripassato, solcandovi la schiena con le sue ruotate, cosa è rimasto? Ogni progetto sano e giusto resta in piedi, in una radura devastata e sterile. I benefici di Venere e Giove non si protendono ancora verso di voi, per offrire una mano gentile che vi aiuti a rialzarvi. Dovrete lavorare con serietà seguendo una direzione. Una sola, quella che secondo la vostra coscienza è giusta: i risultati saranno eccellenti. Marte per il momento è in quadratura: contrasti, contraddizioni e frustrazioni.
Scorpione
Con Mercurio in quadratura, avete l’impressione che nessuno possa capirvi. Provate a spiegare meglio le vostre ragioni, perché può darsi che le abbiate espresse in modo un tantino fanatico, dietro la sollecitazione di Giove all’opposizione. C’è chi vi ascolta e sarebbe anche disposto ad accogliervi e a favorirvi, ma tocca dimostrarsi più collaborativi e pazienti. Lo so, questo sembra uno di quei consigli che i nati sotto il segno dello Scorpione si sentono ripetere di continuo dalle rubriche di astrologia. Oh, ma quante volte volete sentirvelo dire?
Sagittario
Il doppio sestile di Saturno e di Urano continua ad offrirvi un valido sostegno; vi piace la concretezza ultimamente anche se non avete certamente rinunciato ai voli nettuniani della fantasia. Un periodo privo di particolari scosse. Avete il tempo necessario per curare le vite che avete costruito fino ad ora e preparare con agio un terreno spazioso per i futuri impegni. Abbiate pazienza, ma non c’è molto da dirvi.
Capricorno
La prima decade ha goduto di un primo passaggio di Giove, che adesso la ripercorre a marcia indietro. Si possono rivedere delle posizioni, e arrendersi all’ottimismo. C’è adesso il tempo per riorganizzare tutto al meglio e poi… partire, scendere in campo e giocare. Venere in trigono alla prima decade innesta nella malinconia settembrina un rametto di romanticismo. Irrigatelo, non permettete che si secchi presto, sferzato dal primo freddo della stagione autunnale. Avanti che ne ricresca un altro…
Acquario
Nettuno, retrocedendo, è di nuovo a casa vostra. Il signore dell’acqua è nella casa del vento e non si tratta di un soggiorno tanto breve. Urano, Mercurio e Saturno vi guardano benignamente e vi rendono laboriosi, anche se un po’ febbrili a tratti. Non manca qualcosa? Ah sì, la poesia, la gioia di vivere, la dolce resa alle cose che vi piacciono… Per questo mese sembrate piuttosto brulicanti uomini d’affari, per nulla intenti a concedervi gentilezze. Bravi, bravi, ma non potreste delegare almeno un po’?
Pesci
La lunazione comincia con una opposizione al vostro segno, caricata dall’opposizione di Venere. C’è un richiamo all’ordine, al dovere e alle regole, che chiede di non essere ignorato. Ma le regole possono essere impiegate in modo creativo: basta saperle vedere come strumenti utili, e non come ostacoli e limiti. Marte in trigono vi offre un surplus di energie, oppure un giovane fattorino disposto a portarvi le valigie. Laboriosi, contro ogni vostra volontà. Evitate i cibi troppo piccanti, almeno.