martedì 27 dicembre 2011

Sotto l'albero niente


C'è una questione che mi è venuta in mente, mentre leggevo e dopo aver visto il documentario. Si parla dei padri e di prendere una strada, e di sapere qual è il proprio dovere. Che il mondo di chi è andato in guerra nella prima metà del Novecento era un mondo dove la libertà stava a significare libertà dallo sfruttamento e da condizioni di vita disumane e anche parlando con mia nonna ho capito o almeno mi è sembrato di capire che non veniva in mente di chiedersi "come sarà la mia vita", "cos'è che mi piace fare" o cose di questo genere. C'era da faticare e si faticava, c'era poco da mangiare e poco si mangiava. Uno dei personaggi del libro di Wallace quando sta per essere sospeso dall'Università dice "chissenefrega", che è lo stesso "chissenefrega" dei padri di cui sto parlando, lo stesso pilota automatico, solo che per quest'ultimi significava prendere i lavori noiosi o sfibranti così com'erano, mentre li facevano, mentre per lo studente sospeso è il non pensare mentre non sta facendo niente, è il vuoto. La libertà di fare è spiazzante. Mi pare di dire cose sciocche, perché poi la maggior parte delle persone lavora e magari sa benissimo cose deve fare e sta bene, non so. Ho un amico che lavora in fabbrica e la cosa non gli fa certo bene, anche se non sta in catena di montaggio, è comunque pesante. E parlarne non serve a nulla, non aiuta, bisogna lavorare. Gli eroi dell'Agenzia delle Entrate Wallaciani sono veramente eroi, tutti quelli che vedo lavorare attorno a me, i miei amici che mi dicono "beato tu che non fai un cazzo" e ci facciamo una risata e in effetti io sto qua davanti al pc a pensare a qualcosa di sensato da scrivere a proposito di questo libro che sto leggendo ( un'altra opera straordinaria di un mio beniamino ), quando potrei limitarmi a mettere la copertina e via, e magari non rovinare nulla con le parole che davvero non contano. Sarà che avverto anch'io la mia insignificanza di fronte al mondo e voglio assolutamente lasciare tracce, come in un passaggio del libro, tanto forte da metterlo in quarta di copertina. Sarà pure che sono bravissimo ad affrontare la noia, e il libro ne è pieno, e secondo Wallace dovremmo parlare della noia; solo che è noioso, e dunque nessuno ne parla, ma per lui ci sarebbe non dico da divertirsi ma qualcosa da imparare. Cosa c'è dietro alla noia dunque?

Il film documentario si chiama "Passano i soldati", è di Luca Gasparini, ci sono le musiche di Massimo Zamboni ( CCCP ) e per questo l'ho visto. Luca va alla ricerca dei compagni alpini del padre, con cui egli andò in Russia durante la seconda guerra mondiale, intervista la madre e la zia, di passaggio ci sono anche Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli che di quei giorni hanno scritto, e alla fine c'è modo anche di commuoversi ascoltando le parole del regista che dice al padre che ogni tanto se gli viene voglia può scrivergli, senza starci troppo a pensare, e il padre risponde con una delle ultime lettere in cui riconosce di essere un rompiballe.


domenica 25 dicembre 2011

Sotto l'albero niente


DRIVE – USA 2011, 100’. Regia di Nicolas Winding Refn. Wow! Come direbbero i Verdena ( a me piacciono, a voi? ). Avevo sbirciato qua e là per la rete in cui si diceva di un gran film, d’altronde a Cannes non è che premino il primo che passa, e le aspettative sono state confermate, anzi di più. Perché non sapevo bene di cosa trattasse e così mi sono lasciato trasportare alla grande. Va detto che è un film per tutti fino a che non si complicano dannatamente le cose, per cui ci tengo ad avvertire chi non sopporta la violenza sullo schermo. Partenza strepitosa con un film ( un cortometraggio perfetto ) nel film, dove ci viene presentato il protagonista, l’eroe bello e impassibile, calmo e risoluto, che conduce due rapinatori al sicuro dalla polizia. In seguito avremo un’ambientazione notturna stupefacente, che può ricordare le storie di Elmore Leonard e tanti altri che non conosco, cullati dalle tastiere di Cliff Martinez ( proprio lui: ex batterista dei RHCP. Mistero nella colonna sonora: nei titoli di testa io ho letto Angelo Badalamenti, che però pare non c’entri nulla, e poi ho chiaramente ascoltati due pezzi di Trent Reznor, eppure nessuno ne ha parlato nelle recensioni, mah ), da alcuni pezzi stile anni ’80 azzeccatissimi, che creano una specie di viaggio fra Blade Runner ( le panoramiche sulla metropoli e i synth ), tutto il pulp possibile e vario cinema ( il protagonista che impugna il martello è “Old Boy” ). Nella prima parte c’è una rarefazione di parole e azioni, c’è la storia di due persone che pian piano si conoscono, si guardano sempre più da vicino, tutto così perfetto, come il protagonista quando guida; è un asso, che si tratti di scene per i film d’azione che gira o di rapine, o quando ripara auto nell’officina dove lavora. Poi arrivano i cattivi, e il nostro eroe non è da meno. Lascia senza fiato, per alcune scene d’azione, per l’improvvisa efferatezza, per gli sguardi di chi sta per perdersi. Le sonorità risplendenti fanno presto a rabbuiarsi, a sommergerci di cattive vibrazioni, nelle storie c’è sempre qualcosa che va storto e lo sappiamo, ma vogliamo sempre sapere come va a finire, soprattutto in un film come questo. Farebbe il paio con “Bittersweet Life”, film sud-coreano di qualche anno fa tra i miei preferiti in assoluto, però appunto il primo amore non si scorda mai, e così lo lascio a qualcun’altr*.


TOM BOY – FRA 2011, 84’. Regia di Céline Sciamma. Facce da schiaffi, i ragazzini. Laure, fra poco comincia la scuola, e la scambiano per un ragazzo, e lei ci prende gusto, e fa amicizia con un gruppetto e una ragazzina che piace a tutti e che si innamora di un equivoco, un biondino che sa pure giocare a calcio. Uno di quei film in cui ti metti seduto in sala e guardi, o meglio contempli, assorto nelle vite tranquille, le nostre vite fortunate per chi è fortunato, guardi gli altri giocare, crescere, scoprirsi.

venerdì 23 dicembre 2011

Risus abundat in ore stultorum


NON CI RESTA CHE PIANGERE – ITA 1985, 113’. Regia di Roberto Benigni e Massimo Troisi. A questo film è legata una delle più belle risate che mi sono fatto da piccolino, precisamente alla scena della dogana ( Ehi?! Chi siete?! Quanti siete?! Cosa volete?! Un fiorino!! ) e dunque caro mi è. Me lo sono andato a rivedere e sono rimasto sorpreso intanto di ridere ugualmente moltissimo, magari per cose che mi ero dimenticato, e poi di trovare un film bello anche da vedere, da seguire. Benigni e Troisi assieme sono favolosi, da mettere nella storia evolutiva dell’uomo. La storia comincia con questi due amici, “colleghi” ( uno è insegnante, l’altro bidello nella stessa scuola ), che aspettano davanti al passaggio a livello di un posto fuori porta, e che stufi dell’attesa cercano un’altra strada; la benzina finisce e mentre scendono dalla macchina per cercare aiuto vengono sorpresi da un temporale. Trovano una casa dove passare la notte e all’indomani si risvegliano nel 1492, “quasi Mille-cinque”. A Frittole. A Benigni viene in mente di fermare Cristoforo Colombo, ufficialmente per impedire la “scoperta” dell’America e lo sterminio degli Indiani, sotto sotto perché quello che ha mollata la su’ sorella l’è americano.



IL RITORNO DI CAGLIOSTRO – ITA 2003, 100’. Regia di Daniele Ciprì e Franco Maresco.È il primo film che vedo dei due, e non conosco neanche Cinico tv o altri lavori, e sono strani forte. Passano dalla trivialità pura a scenette surreali mentre scorrono sullo schermo i personaggi più improbabili. È il finto racconto delle vicende della “Trinacria Cinematografica”, la Hollywood siciliana che negli anni ’50 produsse i meglio film che si potevano produrre. Fino all’ultimo, indimenticabile, “Il ritorno di Cagliostro”. Tutto viene raccontato come un reportage dei giorni nostri sul ritrovamento della pellicola di detto film, con interviste ai critici e ai superstiti dell’impresa. Le riprese della lavorazione del film, il backstage, e la storia dei fratelli La Marca scultori artigiani che sognano di fare il cinema, assoldati dal Cardinale Sucato ( dietro a tutto c’è Lucky Luciano ). Si possono fare film di qualità come fossero film di serie b o zeta, prendendo per il culo forse il cinema italiano e regalando cartoline eterne di squallore comico.

domenica 18 dicembre 2011

Trova l'intruso

Premessa: ultimamente sto vedendo spesso dei film documentari, cercherò di segnalarne il più possibile.
Nel link seguente diverse tracce da seguire: http://www.leparoleelecose.it/?p=2369




TROPPO BELLI – ITA 2005, 97’. Regia di Ugo Fabrizio Giordani.
Perché ho visto questo film? Perché figurava alla voce “genere sperimentale” nel grande archivio mymovies. È brutto? Sì, è brutto. Lo dobbiamo vedere? No, non credo. Perché ne parli? Per prendere tempo, fare il simpatico, far vedere che anche da un film brutto il fine recensore trae l’espressione filmica più autentica, il fotogramma salvifico che gli spiriti retti stavano aspettando. Ci siete ancora? Comunque, Costantino e Daniele sono due gran bonazzi ed è giusto che anche le ragazzine degli “anni zero” abbiano quello che generazioni di maschietti hanno avuto dal cinema trash ( per quanto fuori tempo massimo data l’enorme disponibilità che offre la rete ); docce comprese, pure evidentemente più caste. Per esempio per vedere Corona nudo bisogna rivolgersi a Videocrazy di Eric Gandini. Fra quattro o cinque sorrisi strappati uno è stato per una scena carina: alla notizia della frattura fra Costantino e Daniele, due ragazzine provano a darsele di santa ragione, manco stessero parteggiando per Michelino Bakunin e Carletto Marx. Curiosità: c’è Ernesto Mahieux, inquietante tassidermista ne L’imbalsamatore di Matteo Garrone. Che altro? Basta così.



SILVIO FOREVER – ITA 2011, 80’. Regia di Roberto Faenza, Filippo Macelloni.
Che strano. Ho 26 anni e ho visto nascere il fenomeno Berlusconi politico, ne parlo addirittura in Internet. Riguardare i vecchi spezzoni di interviste, comizi e apparizioni varie, assistere poi al racconto di questo simpaticone capace di arrivare al fianco di altri uomini di potere. Il fascino che possono avere certi ruoli tutto sommato è scontato, qualcuno nelle società deve pur avere potere, per cui diventa straordinario. Il documentario è godibile, alle volte si sorride, altre vengono i brividi, non c’è bisogno di ripetersi le malefatte del Nostro, e comunque in questo paese abbiamo avuto vent’anni di Mussolini, abbiamo avuto Andreotti e Craxi, più o meno vent’anni di Berlusconi. Se conoscessimo meglio altri paesi non credo cambierebbe molto. Nel frattempo i diritti civili sono stati conquistati a forza di lotte e sacrifici da altri, e quando si ha la possibilità di conoscere le loro storie, ad esempio leggendo Donne Guerra Politica, esperienze e memorie della resistenza ( seguendo il link c’è il pdf dell’intero libro ), si avverte molto di più il legame umano che cerchiamo per conoscere il mondo. Di Berlusconi non me ne frega niente, non mi interessa la sua vita, i suoi soldi e tutto il resto; rimango a disposizione ( nei limiti delle mie possibilità e fragilità ) per dare una mano a vivere meglio.



ALISYA NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE – 2009, 38’. Regia di Simone Amendola.
Una scheda e il trailer. Raitre lo ha trasmesso da poco, ma dovrebbe trasmettere questi documentari a rotazione, non una volta sola. Si va nella provincia romana, cullati da un pianoforte per niente rassicurante, che solo raramente si concede delle aperture che paiono ricordare il Jarrett di Caro Diario. Persone di diversa provenienza raccontano frammenti di convivenza a Cinquina, manco fosse Spinaceto, dove non c’è niente da fare. Una coppia con una bambina nata da poco finalmente con la casetta e la voglia di fare le cose per bene. Toccante.

mercoledì 14 dicembre 2011

Musica per i denti del giudizio




La luce va e viene
( e così il tuo sguardo…
La mano trema mentre
( …si perde fra gli altri verso…
faccio ordine nel mio mondo
( …il giovane frastuono che fa eco…
in cerca di applausi
( …alla passione inespressa…

E tu non sai a quale distanza mi tengo dal precipizio
seppure fa male non mi butto, non salto e non provo a volare
pure se in questo c’è un po’ di tristezza,
come a Natale.

sabato 10 dicembre 2011

KISS KISS BANG BANG ( BULLI E PUPE )



LA RABBIA GIOVANE – USA 1973, 94’. Regia di Terrence Malick.
Beh, non sappiamo se ‘sto ragazzo sia proprio incazzato, in fondo voleva solo andarsene con la sua ragazza, poi prima il padre di lei poi un po’ troppa gente si è messa di mezzo ed è un attimo che ti ritrovi sulla sedia elettrica. È un bel tipo, glielo dicono tutti, si atteggia a James Dean e spara alla gente “come fossero mosche” parole della saggia e distratta compagna di viaggio, due attori più azzeccati non si potevano scegliere per questo film. Dopo aver visto i film di Malick tornando al primo si colgono i punti che interessano l’autore e che ritornano, come nel suo ultimo “Tree of life”; si parte dalle stradine placide lungo i viali che costeggiano le case con giardino ormai conosciute da tutte, i dettagli quasi documentaristici sulla natura, la voce femminile che racconta il film, che si chiede come sarebbe la vita se avessimo fatto altre scelte. C’è un dialogo fulminante nella sua asciuttezza tra Holly, la ragazza, e una appena incontrata con il suo compagno, che Kit deve rinchiudere in un seminterrato in mezzo ai campi per non farli parlare. Holly chiede alla giovane se ama il suo ragazzo, l’altra risponde che non lo sa, poi Holly dice che deve stare con il suo, perché lui si sente in trappola ( a dire il vero il doppiaggio italiano qui si inventa “è disperato dentro di sé”, mentre i sottotitoli dicono “si sente in trappola” più simile all’audio originale ). In uno scenario desolante e magnifico questi due scapestrati se la spassano per qualche tempo, non sanno bene cosa vogliono e neanche come ottenerlo, in qualche modo ci provano.



CITY OF GOD – BRA 2002, 130’. Regia di Fernando Meirelles, Kátia Lund.
4ore compresse in poco più di 2, e i sixties e i seventies, favelas, storie intrecciate, fili da seguire riannodare raggomitolare sciogliere tagliare Bum! Già solo la prima scena dice tutto, una gallina scappa dal suo triste destino gastronomico nelle viuzze impossibili della Città di Dio, inseguita da Zé Pequeno ( il sociopatico che tutti vorrebbero come amico ) e la sua banda, poi una volta in strada alla prima macchina che passa si mette a camminare ( ma le galline camminano? ) tutta impettita, poi arriva il protagonista Buscapé, che sogna di diventare fotografo in mezzo a quella bolgia dove però le occasioni per scattare ( in ogni senso ) non mancano e via parte il film, che è un turbinio di inquadrature sequenze e quella roba fica che concentra una marea di informazioni in un battito di ciglia. Le storie del trio tenerezza ( vi dico solo banane e DP ), Bené, il bandito più fico che c’è, Mané Galinha che deve vendicare la sua ragazza e finisce dentro dopo la guerra tra bande e pare che è successo davvero, intervista alla tv compresa. La droga, il sistema, raccontato come una “gomorra” do Brazil, fino ai randagi, i bambini di strada, pistole alla mano, il futuro che avanza. È tutto giocato sui contrasti appiattiti, un attimo ridi l’attimo dopo muori, le risate si sovrappongono al sangue, al delirio, alla crudeltà insensibile, davvero laggiù si spara alla gente come fossero mosche.





ELEPHANT – USA 2003, 81’. Regia di Gus Van Sant.
Riposo assoluto, uno si mette comodo e guarda un biondino proprio caruccio camminare e camminare, un saluto qui un sorriso là, e poi il laboratorio di fotografia, e la mensa e il parco fuori, ma questi a scuola non fanno mai un cazzo? Poi uno va su internet, dal suo rivenditore preferito di armi e tra una sonatina di Beethoven e un videogioco per allenarsi si fa tardi ed è ora di andare a dormire, che il mattino dopo si spara. La strage alla Columbine o quella ultima di Utoya dànno spesso modo di cominciare un bel discorsetto di sociologia, a me l’unica cosa idiota che è venuta in mente guardando il film è che dove tutto è perfetto qualcosa deve riequilibrarlo, noi abbiamo le scuole che cadono a pezzi, la carta igienica da casa, gli insegnanti meno pagati d’Europa e così ci accontentiamo delle risse di una volta. Oppure: semplicemente dove è possibile acquistare così facilmente delle armi, qualcuno le userà altrettanto facilmente. Comunque dovrebbe uscire il nuovo libro di Steven Pinker sul declino della violenza nel nostro mondo, speriamo non costi troppo.
Tornando al film, mi ha sorpreso rivedendolo l’uso del sonoro, tenue, preso dall’ambiente mi pare e rimescolato nelle scene. E nell’insieme quest’aria pallida e noiosa, la quiete prima della quiete.



DEAR WENDY – USA 2005, 105’. Regia di Thomas Vinterberg ( quello di Festen )
L’ho visto tempo fa e non tutto mi ricordo, però mi sono piaciuti questi specie di Dandies un po’ Goonies, un gruppetto male in arnese, sfigati se non fosse una pessima parola, in cui ognuno ripone il suo coraggio in una pistola che non mostrerà mai in pubblico, che userà soltanto per esercitarsi di nascosto, trovare il proprio stile. Poi il film si perde quando per i ragazzi è ora di uscire allo scoperto e di sparare sul serio, però un’occhiata la merita.


BONUS TRACKS:



mercoledì 7 dicembre 2011

Rumori fuori scena




Precauzioni: si consiglia l'ascolto distesi su di un letto o un divano, comunque il più fermi possibile. Per i reclami attendere almeno 5 minuti di riflessione.

martedì 6 dicembre 2011

Chi ha paura del buio?



COLOUR FROM THE DARK – ITA 2008, 92’. Regia di Ivan Zuccon.
Il film prende spunto da un racconto di H.P.Lovecraft ( 1890 – 1937 ), The colour out the space, uno fra i preferiti dello stesso autore, nel quale in seguito alla caduta di un meteorite l’acqua di un pozzo viene contaminata e così pure la famiglia che se ne serve, compresi i campi coltivati e le bestie che allevano. Il racconto si basa tutto sui cambiamenti cromatici che colpiscono i frutti e la vegetazione tutta, oltre che la trasformazione fisica che colpisce la zona intera. Ho trovati curiosi un paio di passi: “I fiori di campi diventavano sinistri e minacciosi”, e fin qui; “e gli alberi insolenti nelle loro perversioni cromatiche”. Insolenti?. Oppure: “Gli aster e le verghe d’oro fiorirono opachi e distorti, e le rose, le zinnie e le malverose, avevano un aspetto così blasfemo che il figlio maggiore di Nahum, Zenas, le tagliò”. Il film viene ambientato in Italia, nel 1943, nelle campagne, dove vive una famiglia composta da marito, moglie e la sorella di lei, quest’ultima di vent’anni circa, ma mentalmente ancora bambina, incapace anche di parlare, e con una bambola di pezza che crede viva. Gli effetti dell’acqua all’inizio paiono miracolosi, raccolti prosperi in tempi record, il ginocchio dell’uomo completamente guarito, e soprattutto la sorella di lei che finalmente parla e comincia a prendere coscienza di non essere più una bambina. Poi però le influenze della cosa venuta dallo spazio si fanno minacciose. Qui il film prende tutta un’altra piega rispetto al racconto e da un lato la cosa si fa meno interessante, dall’altro per renderlo al meglio sarebbero serviti più soldi per gli effetti speciali, almeno credo. La donna infatti diviene completamente posseduta, un demone assassino, e cominciano a fioccare i morti. Si potrà trovare poco coerente la possessione demoniaca con gli effetti di un meteorite, ma almeno il film compensa con buone dosi di brividi. Efficace ance la resa visiva, o meglio, per buona parte del tempo ho trovato troppo sparati i colori nelle scene all’aria aperta, però poi si apprezzano meglio nel contrasto cui si assiste nel finale, quando calerà la coltre di polvere e morte, dovuta agli effetti del contagio portato da questa strana forza aliena.




INSIDIOUS – USA 2010, 103’. Regia di James Wan.
Beh, era da molto tempo che un film non mi spaventava come lo ha fatto questo. Non proprio come lo fecero Shining o The ring, ma pure Profondo rosso ( visto alle 4 di notte, in casa dei miei nonni, da solo, che poi quando finiscono i film ti scappa sempre di fare pipì e il bagno sta in fondo al corridoio ), ma ci si avvicina. Si parte con i classici del genere, famiglia che si stabilisce in una nuova casa, uno dei figli cade ed entra in uno strano coma. Dai test risulta tutto a posto, però lui non si sveglia. Cominciano ad avvertirsi rumori, oggetti che si spostano da soli e allucinazioni varie. La madre è terrorizzata e la famiglia si trasferisce di nuovo. Ma anche nella nuova casa sarà lo stesso, così si ricorre prima a un prete, ma subito dopo a due acchiappa-fantasmi un po’ nerd un po’ no, i quali vista la situazione preoccupante ricorrono alla loro sensitiva di fiducia. Qui comincia la parte finale del finale, magari troppo confusionaria ma sempre all’altezza. Mi sono piaciuti molto i momenti di tenerezza famigliare, su tutti una scena in cui la madre mette su un disco ( se non sbaglio questo di Ludovico Einaudi ) e poi prende il sacco della spazzatura e lo porta fuori, e la camera prima la segue da vicino e poi la lascia allontanare fuori casa mentre il disco si interrompe e parte un’altra musica, tipo quelle anni ’30 non so, e quando la donna sta per rientrare dalla finestra vede una figura che balla in casa e poi scappa. Poi quando arrivano gli acchiappa-fantasmi diventa una figata, mi sono andato a prendere da mangiare per finire di vederlo. Chissà magari sto esagerando e in realtà è poca cosa, però mi ha preso e dunque lo consiglio.




ALTITUDE – CAN/USA 2010, 90’. Regia di Kaare Andrews.
Questo film chiede molto allo spettatore in termini di “sospensione della credulità” ( così mi ricordo che si dice ), e inoltre dal momento che le cose si fanno più incredibili viene meno anche la tensione, che è data proprio dalla fattibilità degli eventi narrati ( ma quanto scrivo male! ). Però non è male affatto. La situazione vede 5 giovani partire con un aereo affittato per andare a vedere un concerto; a pilotare il velivolo una dei 5, che perse la madre, anch’essa pilota, proprio in un incidente aereo, che uno dice giustamente “ma allora ce fai?”. Gli altri passeggeri sono il cugino di lei, una coppia di fidanzati e il nuovo ragazzo della pilota, molto teso all’idea di partire e lettore di Sartre, che uno pensa “e ‘sti cazzi” e invece no, a 10.000 e più metri d’altitudine fa la differenza eccome. In volo cominciano ovviamente i problemi e la situazione precipiterà fino ad un finale molto creativo.




PREY – FRA 2010, 85’. Regia di Antoine Blossier.
Horror francese di buona fattura, senza tanti fronzoli, concentrato il più possibile sulla violenza animale e umana. C’è una coppia che sta per avere un bambino; oh, sarà il quarto film horror francese che mi capita che comincia con una incinta, che è vero che grazie a buone politiche hanno aumentato la natalità ma non c’è da farlo notare sempre. Comunque il bambino non lo può avere perché la sua famiglia possiede una grossa azienda di fertilizzanti e lei deve stare dietro al lavoro, le cose vanno male e ha bisogno di altri sei mesi, di figli ne faranno altri dice. Lo dice suo padre, e il marito ci deve stare. Solo che c’è stato un incidente in una riserva, dei cervi ammazzati dai cinghiali e così parte una spedizione di caccia in famiglia, e l’uomo, medico, si aggrega con loro. Il problema è che il fertilizzante è stato reso tossico, ha contaminato le falde acquifere facendo strage di animali e rendendo i cinghiali ancora più cazzuti. Ma non finisce qui, anche in famiglia non si sa chi è più bestia, per cui fino alla fine non si può stare tranquilli. Girato in larga parte di notte, non è neanche violentissimo, rispetto alle ultime uscite che facevano a gara nello spargere sangue, quindi adatto ai più, si può dire.

giovedì 1 dicembre 2011

A cosa servono gli amori infelici



Il protagonista è un uomo di 58 anni che è ricoverato in attesa di operarsi. Nel frattempo scrive lunghe lettere con le quali conosciamo eventi del suo passato. Ci sono due storie in cui lui si nega a due uomini, un parroco e un giovane al tempo poco più grande. Il protagonista ha lavorato per tutta la vita in un ufficio a scrivere pro-memoria, discorsi per il presidente di turno, infarciti di citazioni aforismi ( non al livello dello psicanalista di scuola livornese ), buoni per ogni occasione. Si dice nel testo che sappiamo tutto degli amanti infelici, ma pochissimo degli amati infelici. Si ribaltano un po’ le cose, e si prova a dire che “alla fine l’innamorato guarisce, ma sa di aver perduto qualcosa. Un po’ del suo slancio e della sua generosità. Anche chi è stato amato ha perduto tesori a sua disposizione di cui forse non ha mai saputo nulla, destinati a scomparire appena l’altro è disintossicato. Quella volta, ci siamo impoveriti entrambi, amico mio”. Chissà, il protagonista è uno che non rifugge dalla passione, relegandola però a faccende da bassi istinti, da “piano di sotto” come gli rimprovera l’amico, il “piano di sopra” è per l’arte, la musica, oppure per fuggire da possibili umiliazioni, per non sentirsi rifiutati. “Sai capire i libri, ma non sai leggere i sentimenti delle persone, neanche quando ti riguardano”.

Gilberto Severini ha scritto diversi libri, di lui ho letto anche “Il praticante”, e insomma mi piace come scrive.

Il titolo può essere una domanda o un'affermazione, non so, metto una traccia per i curiosi ( occhio però perché è una scena finale, SPOILER )

Il commento sonoro: