martedì 13 marzo 2012

ECCE VIBRO!

HYSTERIA – UK 2011, 100’. Regia di Tania Wexler.

Dunque, è possibile scrivere una recensione facendo trasparire l’ammiccamento maliziosetto che perdura lungo tutto il film nel volto di chi guarda? Che poi in realtà non è mica tutto da ridere, che diamine, c’è la questione femminile, un’epoca di cambiamento sociale e scientifico, la lotta di classe; poi, se proprio vogliamo, possiamo anche dire che stringi stringi, è un film sull’invenzione del vibratore. Il film è divertente, soprattutto all’inizio, quando si vedono questi due medici, inappuntabili e scevri da ogni pensiero peccaminoso, praticare la stimolazione genitale alle loro pazienti “evidentemente” isteriche. Il gran dottore, proprietario dello studio, è convinto che almeno la metà delle donne londinesi ne sia affetta, per cui sotto con gli appuntamenti, agenda piena, donne che accorrono a frotte, e dagli e dagli il dottorino comincia ad avvertire dolore alle articolazioni della mano. Una vitaccia! Nel frattempo fa la corte alla figlia del gran dottore ( il dottore la chiamò… ), graziosa, chopina e frenologa convinta fino alla redenzione. Sempre più nel frattempo, il grande amico e benefattore del dottorino si diletta con l’elettricità, è uno dei primi a possedere un telefono e chiamare sconosciuti come lui, e fornisce le basi per la scoperta geniale. Un dispositivo che possa sostituire il dottorino che ormai, davvero, non ce la fa più. Infine, la sorella cattiva e suffragetta della graziosa di sopra, gestisce una casa per i poveri, scuola e ambulatorio. Lieto, lietissimo fine.

Appendici intellettualoidi e cultural esche:

per quanto riguarda la frenologia consiglio “Intelligenza e Pregiudizio” di Stephen Jay Gould, ottimo resoconto delle follie degli scienziati di un tempo e dei rimasugli odierni.

Per quanto riguarda invece i germi ( nel film il dottorino prova in tutti i modi a convincere i medici con cui lavora del pericolo dei germi, solo che all’epoca erano una novità, e quindi non era creduto; a noi farebbe ridere, eppure ), cioè per quanto riguarda i dibattiti tra scienziati c’è una curiosità di cui provo a parlare. Nel 1996 due fisici, Sokal e Bricmont, riuscirono a farsi pubblicare un articolo dal titolo “Trasgredire le frontiere: verso un’ermeneutica trasformativa della gravità quantistica” in una rivista di letteratura e scienze umane. L’articolo era una beffa, una roba piena di assurdità, ma fu preso sul serio. Poi, Sokal e Bricmont fecero un libro, Imposture Intellettuali, in cui prendevano in esame vari scritti di Lacan, Kristeva, Latour, Baudrillard, Deleuze, Guattari e altri, in cui ripetutamente venivano usati termini e concetti presi dalle scienze, senza che fossero stati realmente compresi, e senza che se ne capisse il motivo. Insomma, un comportamento quantomeno scorretto. Ma: un altro fisico, Lévy-Leblond, nel suo La Velocità dell’Ombra, riprende la vicenda e ne dà un’ulteriore visione, stavolta critica nei confronti di Sokal e Bricmont. In sostanza, è vero che i filosofi di sopra hanno fatto un uso a dir poco discutibile della fisica e della matematica, ma a parte il disprezzo mostrato nei loro confronti c’è una complessità di fondo che è sfuggita. Intanto che nelle discipline umanistiche c’è un uso della metafora che è fondamentale per la disciplina stessa, e poi che le scienze dure non sono immuni dalla mistificazione. Tanto è vero che nel 2005 tre studenti del MIT fecero a loro volta una beffa facendo accettare in un convegno d’informatica una presentazione fatta da un computer senza capo né coda. Per non parlare poi del vocabolario usato dagli stessi scienziati che si presta a confusione, e qui Lévy-Leblond parla del principio d’indeterminazione di Heisenberg che è stato mal compreso dai fisici stessi e mal divulgato etc. etc.

In un altro capitolo c’è pure un’interessante riflessione sulla divulgazione scientifica e sulla possibilità che hanno i comuni mortali di rimanere in contatto con dei campi del sapere sempre più specializzati al punto che gli stessi studiosi sono all’oscuro delle ricerche altrui. Insomma, davvero un bel libro.

Comunque, per l’eventuale lettore, faccio presente di non prestare molta fede alle mie parole, soprattutto per quanto riguarda i discorsi sulla scienza, che è complicata. Infatti, ora che frequento i corsi serali per recuperare gli anni di diploma in un istituto tecnico industriale, posso dire che nessuno dei piccoli esperimenti fatti in classe è mai veramente riuscito, è tutto un approssimarsi di cifre, controllo degli strumenti, formule provenienti da oscuri scienziati chiamati per iniziali maiuscole, una robaccia.




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