venerdì 29 giugno 2012

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C’è tutto un discorso che parte dall’Iliade, passa per Mamoru Oshii e arriva dalle parti di Schubert, oltreppassando Ligeti e Chopin. Non è vero. Che poi non vuol essere un modo fico per buttare tutto assieme, ma un tentativo di mettere assieme degli spunti. Volevo ricopiare dai libri poi alla fine mi sono deciso a riassumere. Poi non so neanche se posso farlo di copiare pagine dai libri, chissà come funziona la legge. Comunque, nel suo intervento in Democrazia: cosa può fare uno scrittore, Antonio Pascale intende fondamentali per la democrazia, le opinioni approfondite. Poi si rivolge al passato e mette in mezzo Socrate ( a sua volta tirato in ballo da Platone ), che pare sia stato uno dei primi a pretendere la “misura” di ciò che diciamo. Punto centrale è che gli dèi mettevano gli uomini in situazioni conflittuali e irrisolvibili, in contrasto fra loro ( una tragedia appunto ). Non andava affatto bene. Urgeva ribellione.

( la morte di Ettore, XXII canto )
Allora Ettore capì nel suo cuore e disse:
Ahimè certo gli dèi mi chiamano a morte:
credevo mi fosse vicino l’eroe Deifobo,
 ma è dentro le mura e mi ha ingannato Pallade Atena
[…] ma non voglio morire senza lotta né senza onore,
 bensì facendo qualcosa di grande, che anche i posteri ricorderanno.

Poi arriva Julian Jaynes con Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza ( pare comunque uno studio molto controverso seppure interessante, fate voi ), per cui gli eroi omerici erano in preda alle allucinazioni, in pratica degli automi ( Pascale aggiunge come gli androidi di Philip K. Dick, “così impauriti dal tempo che scorre, incoerenti e commoventi, rimandano a quella mente bicamerale” ). E Pascale conclude: “Così alla sospensione tragica, a quello scarto tra deliberazione e accettazione, tra stupore e azione, si sostituisce il fascino della ricerca, il piacere della conoscenza di sé, degli altri, di sé tra gli altri”. Poi elenca una serie di opere e scrittori in cui si può ancora oggi trovare questa “poetica della sospensione”, tra cui appunto i lungometraggi di Mamoru Oshii.  

GHOST IN THE SHELL

In Perché la musica classica? Lawrence Kramer parla del pianoforte a coda, partendo dalla famosa espressione ( il fantasma nella macchina, appunto ) che indica come corpo e mente non siano entità separate ( se qualcuno non è d’accordo dica pure ). Questo oggetto voluminoso, l’interno che si può intravedere, le sue meccaniche così fredde e il suono così ricco di sfumature, ci siamo capiti. Tutto il libro è interessante, e questo capitolo in particolare, certo bisogna apprezzare la musica classica ( o magari provre ad ascoltarla proprio dagli ascolti presi in esame ), ma non è un libro scritto in maniera esaltata.

 “L’attimo di sospensione fra suono e silenzio, fra animato e inanimato”

E dunque il film, o i film, il primo e il secondo. A parte la bellezza visiva che offrono ( sono film d’animazione ), sono storie intricate, film da rivedere. Anche solo a pezzi, per riassaporare le atmosfere, i silenzi. Sono film in cui esplode a tratti molta violenza e pure ci sono dei momenti di una dolcezza inaspettata, come nella scena in cui il poliziotto biocyborg ( stiamo dalle parti della fantascienza e del cyberpunk, generi a me finora praticamente sconosciuti ) torna a casa e dà da mangiare al suo cagnolone Gabriel. Sullo sfondo guerre tra nazioni, un mondo iper-informatizzato ( qualunque cosa significhi ), programmi che si infiltrano nelle menti altrui, che aspirano a l’unica cosa che gli manca per essere vitali, ovvero la possibilità di riprodursi e non solamente di replicarsi ( ovvero l’evoluzione ). Mumble mumble. A Schubert non ci sono arrivato, e pensandoci bene è venuto fuori qualcosa di molto confuso. Ci riproverò.

giovedì 21 giugno 2012

Note private dette in pubblico

Evolution (?) Vi andrebbe di ascoltare questo brano che ho composto? Sono graditi commenti di ogni tipo. Sarebbe già molto che qualcuno riuscisse ad ascoltarlo fino alla fine.

lunedì 18 giugno 2012

Musica per digerire biscotti d'ogni specie eventualmente futuribile

Maybe music was not intended to satisfy the curious definiteness of man. Maybe is better to hope that music will always be a transcendental language in the most extravagant sense.

Grossomodo ( sono gradite versioni ulteriori ): forse la musica non era destinata a soddisfare la singolare determinatezza dell'uomo. Forse è meglio sperare che la musica sarà sempre un linguaggio trascendentale nel senso più stravagante.

Charles Ives, Essays before a sonata, 1920




domenica 17 giugno 2012

LE MOLECOLE SONO IMPORTANTI



Da Scienza e sentimento di Antonio Pascale.

“Una volta mi portarono un coniglio vivo come dono. Non conoscevo ancora appieno gli usi e i costumi della civiltà contadina, tranne quello che riguardava le offerte. Invece mio padre, da vecchio contadino poi passato a lavorare all’ispettorato agrario, li conosceva molto bene e mi diceva sempre di non accettare nessuna offerta in denaro ma di non rifiutare mai, dico mai, le offerte in natura. Così presi il coniglio vivo e li ringraziai, ma non avevo il coraggio di toccare quella bestiola  calda e li guardavo attonito. La mia impreparazione a gestire un coniglio era palese, così uno di loro si alzò da sotto la quercia e disse: << Dottò, non vi preoccupate >>. Così tiro fuori dal suo taschino una penna Bic e tolse sia il cappuccio sia l’anima per l’inchiostro. Si mise l’astuccio in bocca, prese il coltello, si avvicinò a me, mi tolse il coniglio dalle mani e girandosi solo un poco di spalle, con un movimento rapido, sgozzò l’animale. Dopodiché appese la carcassa a un paletto. Inserì quello che restava della penna Bic nel collo del coniglio e succhiò il sangue, e allo stesso modo in cui si esegue un travaso di vino da una damigiana alla bottiglia. In breve tutto il sangue del coniglio venne fuori e formò una piccola pozzanghera in terra. Quando non restò nemmeno una goccia, il contadino coprì la pozzanghera di sangue con della terra e passò poi a spellare il coniglio. Non ricordo quanto tempo passò, fatto sta che mi ritrovai di nuovo il coniglio tra le braccia. Freddo. Il contadino invece tornò a mangiare il suo panino prima di mettersi di nuovo al lavoro. Il problema che mi posi, tornando a casa con il coniglio fu: come si può infondere idee nuove ai contadini, abituati come sono da millenni a compiere atti, anche violenti, senza sentire più il peso e le responsabilità di questi gesti. Come si può allora cambiare le modalità di produzione e virare per esempio verso tecniche meno invasive? La risposta non la trovai allora e, onestamente, ancora oggi la ignoro. Forse, però, avrei dovuto fare un’altra considerazione: è ingiusto accettare un dono, fosse esso una mela, o un coniglio da un contadino, ignorando il fatto che ogni dono nasconde una sofferenza. O meglio, ogni beneficio un rischio. Tanto è vero che a casa, per il pranzo domenicale, il coniglio l’avevo mangiato con tutta la mia famiglia, tranne mia sorella, perché dopo averle raccontato la modalità di esecuzione dell’animale cominciò a diventare vegetariana.”

“Nonostante il coniglio sgozzato, credevo o fingevo di credere alla categoria del naturale. I due contendenti, naturale e artificiale, formavano in sostanza una semplice equazione: salute contro malattia, medicina contro veleno. Dunque quando entrai nell’aula per frequentare il corso di chimica agraria, avevo le idee ben chiare. Detta in breve dovevo rompere le scatole al professore. E lo feci da subito. Stavamo parlando della struttura dell’atomo e appena ne ebbi la possibilità, durante una pausa, chiesi al professore, un vecchio chimico, un po’ ingobbito e con dei bellissimi capelli bianche lucenti, se aveva senso un corso di chimica agraria, proprio oggi che la chimica sta inquinando gran parte delle risorse naturali. Il professore di chimica oltre ai capelli bianchi e lucenti aveva una strana caratteristica, non guardava mai in direzione dei suoi studenti. Scriveva le formule alla lavagna e girava lo sguardo verso di noi di pochi gradi, quel tanto che bastava per fare arrivare la sua voce. Non dovevamo guardare lui, ma la lavagna, il senso della postura era quello. In quella posizione, senza cercare nemmeno chi avesse fatto la domanda rispose: NaCl, cloruro di sodio. Se, disse, prendete il sodio puro e lo mettete nell’acqua causerete un’esplosione. Se mangiate il cloro morirete. Se però il cloro si unisce con il sodio, si formerà cloruro di sodio, il normale sale da cucina. L’obiettivo di questo corso è fornirvi degli strumenti affinché possiate gestire due sostanze pericolose, e trasformarle in sale da cucina. Altre domande? Non ero mica soddisfatto, ma non avevo altre domande. Per il momento.”

Si dice della conoscenza come bisogno di lenire una ferita. Può darsi. Mi ricordo che da bambino ero in imbarazzo di fronte ai miei amichetti che tiravano fuori ogni possibile parolaccia a sfondo sessuale. Una notte scoppiai in lacrime nel letto. Ero molto indietro quanto a teoria. Per la teoria ( nello specifico e più in generale ) mi sono attrezzato sviluppando il gusto della lettura. Il mio prof di composizione mi disse che da bambino non sopportava di non avere un “orecchio” buono quanto quello degli altri e così si sforzò per raggiungerli e superarli. Sempre da bambino, vidi con mio padre Caro Diario, e fu bellissimo. Tutto, tranne la scena in cui il regista entra in un cinema per vedere Henry – Pioggia di sangue. Quello fu tremendo. Insieme ad altre scene forti mi perseguitò per molto tempo. Sarà per questo che ho cominciato a vedere i film più violenti possibili. Cerco di arrivare al punto. I libri di Pascale, che ho recentemente scoperto, hanno di bello che rimettono in discussione un bel po’ di credenze, più o meno consapevoli, di chi ha seguito un certo percorso culturale. Io sono di sinistra, abbastanza ignorante ( non sono neanche diplomato ). Abbastanza presuntuoso. Sono cresciuto leggendo Repubblica. Anche Pascale compra Repubblica da molto tempo. È inutile girarci attorno. Come molti spero, ho la pretesa di far parte di quelli che la pensano nel modo giusto. Questo porta facilmente ad abbandonare lo sguardo critico. C’è una scena perfetta in Sogni d’oro. In realtà, io parlo spesso di ciò che non conosco, a cominciare dal cinema. Anche se poi cerco di scrivere “attorno” alle cose. Pascale parla spesso di agronomia, che è il suo settore, e dunque di scelte alimentari, che nel discorso pubblico sono diventate l’opposizione biologico-ogm. E arriva anche a toccare un punto che provo a riassumere, e che si collega finalmente a Palombella Rossa ( a proposito, ecco una lettura particolare ). Il protagonista del film ha smarrito la memoria ed è ossessionato dal suo bisogno di sentirsi accettato, di far vedere che è uguale agli altri, però diverso; e il partito con lui. A cosa ci si attacca, in un periodo di confusione, di affanno, mentre ci si sbraccia e si scalcia per restare a galla? Ai miti. Ai bei tempi andati. Pure i film di Moretti subiscono lo strano destino di venir citati spesso, e magari sono già divenute citazioni amebe, come le parole amebe, per usare l’espressione di Uwe Porksen ( richiamato da Pascale ).




Bonus track: ( che era poi l’impulso iniziale, ovvero il privilegio di poter leggere o ascoltare musica, e di scrivere )

mercoledì 13 giugno 2012

VISIONI ESTATICHE APPROSSIMATIVE


SAN GIROLAMO – Bra 1999, 78’. Regia di Julio Bressane.
A un certo punto compare un leone, che se uno conosce la storia se l’aspetta, ma io no. È una scena notevole: nel deserto, il leone disteso e sofferente, il santo che lo guarisce. C’è una lunga parte sull’importanza di tradurre correttamente dall’ebraico per avere un testo solido su cui fondare il cristianesimo. Per il santo, mentre lo spiega immagino a delle novizie, non bisogna tradurre parola per parola, ma cogliere il senso, rispettando il carattere di ogni lingua, cercando armonia ed eleganza. Molte scene riescono ad essere inquietanti e vagamente simboliche, in una ho persino riconosciuto un quadro, il San Girolamo di Caravaggio ( fonte wikipedia ). Comunque, se vi interessano le vite dei santi la rubrica su Il Post di Leonardo Tondelli fa per voi. Consiglio. Ricordo personale: nel film in una scena c’è la musica di Saint Saens, Il Cigno. Una volta ero a teatro e c’era proprio una rappresentazione del carnevale degli animali. Oltre ai musicisti c’erano delle ballerine. Il brano de Il Cigno vedeva in scena una sola ballerina e una figura cartonata, una sorta di traguardo da raggiungere, tipo chessò, se fosse stato un ragazzino col pallone, un calciatore professionista come sagoma. La ballerina era inginocchiata, indossava una felpa, aveva il cappuccio tirato sulla testa. Partì la musica e la ballerina cominciò a muoversi lentamente, si alzò e si tolse il cappuccio. Indossava delle cuffiette per la musica. Fu meraviglioso. La ballerina cominciò a danzare, ma si capiva che danzava al ritmo della musica ascoltata nelle cuffiette, probabilmente musica dance. Così la musica che ascoltava il pubblico era struggente, ma i gesti della ballerina riuscivano a suggerire ugualmente  i battiti della dance, e il contrasto mi regalò allo stesso tempo voglia di piangere e gioia nel vedere rappresentato il sogno di una ragazza che si esercita con la musica che ama.

Ma arriviamo al nocciolo del post, ovvero la mia decisione di vedere Death in the land of encantos di Lav Diaz, film filippino della durata di circa 9 ( nove ) ore, ovviamente in più riprese. Film premiato per la sezione orizzonti a Venezia ( le malelingue dicono che lo premiarono perché speravano che così si sarebbe accontentato e non avrebbe fatto più film del genere ). Film che dopo due iniziali inquadrature in bianco e nero, vede l’apparizione di una donna nuda che dorme. Poi ne dirò di più, una volta terminata la visione.

Insomma, parola per parola si diceva, oppure fotogramma per fotogramma, o ancora nota per nota. Pensiamo ad Einstein on the beach di Philip Glass, un’opera di circa 5 ore concepita per essere ascoltata in uno spazio che consentisse al pubblico di girovagare, cambiare ambiente, addormentarsi, tentare approcci eccetera. Dunque non la situazione “classica” da concerto. Che poi neanche ai tempi di Mozart stavano a sentire il concerto per tutto il tempo, in genere si chiacchierava, pettegolezzi come al solito; si mangiucchiava, si tentavano approcci, come al solito. L’acustica era quel che era, il pubblico di ricchi stronzi pure. Si aspettava il momento clou per l’applauso e il resto era tappezzeria. Oppure ci si esaltava per i virtuosismi degli esecutori. Niente a che vedere con l’idea che di solito si ha di un concerto di musica classica. Cioè, oggi è così, una situazione che richiede molta compostezza, non è sempre stato così. È scontato in realtà, ma quando l’ho appreso mi ha stupito. Mi basta poco in effetti. Tornando al film, non capisco se è un film da vedersi di seguito, magari in più riprese, oppure di vederlo come un’opera che esprime un qualcosa che si coglie in vari punti, che non scaturisce dal racconto lineare. Quando dico ai miei amici che vedo questi film mi prendono per pazzo, letteralmente. Non fanno neanche la battuta “ma un porno invece?”. Però in fondo che cambia tra vedere questo di 9 ore o tre quattro film più corti? Certo, il film di Lav Diaz è intrinsecamente noioso per la maggior parte degli esseri umani, me compreso, e a dispetto della fatica nel leggere i grandi romanzi che però ti ripagano in qualche modo, è difficile che ciò accada. Però ad esempio quando stiamo al mare ci abbandoniamo nel fissare l’orizzonte per un certo periodo di tempo e forse ci annoiamo, eppure ci piace lo stesso. Per cui in qualche modo questa lunga durata dovrebbe servire a fruire dell’opera.

martedì 12 giugno 2012

PAGINE SPARSE

Da L'errore di Glover di Nick Laird

Piccola playlist possibile ( contenuta nel testo ): Iceblink dei Cocteau Twins; Sea Pictures di Edward Elgar. Ci sarebbe pure Agio di David Jermann, ma forse se lo è inventato l'autore.


“Una gelida sera di novembre andarono tutti e tre al Globe a vedere Otello e, dopo aver fermato un taxi per Ruth sul Blackfriars Bridge, i due coinquilini cominciarono la scarpinata verso il distretto del Borough. Le strade erano quasi deserte, pulite dal freddo, e i marciapiedi ghiacciati scintillavano come quarzo. La rappresentazione non era stata un granché e David cominciò a dire la sua. Dopo una pausa, sulla scia di un paragone tra il regista e una mammana, Glover disse: << Che cosa provi davvero per Ruth? Sinceramente >>. << Mi piace davvero>>, disse David, facendo il verso all’enfasi di Glover. << Perché , a te no?>> << Certo, ma mi chiedevo se pensavi di passare all’azione>>. David capì subito il senso delle sue parole, ma c’era qualcosa nel tono – una certa irritazione – che lo offese. Glover cercava sempre di spingerlo verso il mondo, gli proponeva di iscriversi insieme a qualche sito di incontri, diceva che dovevano rispondere a qualche annuncio sui giornali, lo incoraggiava ad approcciare le ragazze nei pub. Pensava che Glover lo vedesse come una cosa inerte, che aveva bisogno di una spinta alle spalle per cominciare a rotolare, ma David sapeva bene cosa significava essere rifiutati. Riusciva a procedere solo seguendo il proprio ritmo. <<Sai, siamo vecchi amici. Vecchissimi amici>>. Un pacchetto di patatine raspava sul marciapiede, mosso dal vento, e Glover gli diede un calcio. Il pacchetto si rigirò sulla sua scarpa da ginnastica e andò a posarsi di nuovo a terra, a faccia in giù. <<Direi che il punto è se ti piace fisicamente o no>>. David si innervosì di nuovo e sbuffò impaziente. <<Lo vede chiunque che è una bella donna>>. <<Sì, direi di sì>>. David non aggiunse altro. Cosa gliene importava, a Glover? Erano arrivati davanti ai gradini di casa e la conversazione fu parcheggiata lì, accanto ai bidoni dell’immondizia e a quello della raccolta differenziata, nel quale qualcuno aveva buttato un kebab mangiato a metà.” Pag. 53

“Sabato, l’ultimo dell’anno, David affrontò l’orrore del suo armadio. Per prima cosa escluse ciò che indossava per scuola – pantaloni di velluto a coste e di cotone cachi, maglie a girocollo – ed esaminò il resto. Se ciò che indossiamo definisce quello che siamo, David dedusse che lui doveva essere o un boscaiolo ( tre camicie a quadri ) oppure un becchino sciatto ( un singolo completo nero con una macchia incrostata su una manica ). Si piazzò davanti allo specchio dell’armadio con addosso un paio di boxer a quadretti, e poi andò in bagno e salì esitante sulla bilancia. L’ago oscillò e tremò insieme al suo cuore. Novantadue chili. Un tempo – quando si era iscritto al Goldsmiths – pesava settantasette chili e mezzo. E per dirla con sua madre, un tempo era stato tre chili e tre di gioia e tormento.” Pag. 124

domenica 10 giugno 2012

DENTE live @ Darsena ( Castiglione del lago, PG )



Dente scivola lungo un piano dolcemente inclinato alcoolicamente trattato spensieratezza incrinata raramente dal ciuffetto maudit dai moscerini più accaniti delle giovani fan e dei ragazzi appresso che pure loro cantavano le parole che mi sono perso quasi tutte tranne quelle quattro che conoscevo anch’io “non è stato il destino ad unirvi ma l’ADSL” “Comprati un mazzo di fiori…che poi ti do i soldi” scorre così anche se fra una canzone e l’altra ci mette battute così brutte che ti chiedi se non le dica apposta scorre aiutato da una band che rinforza i rari crescendo e che mette la base dondoleggiante che arriva l’estate il bicchiere in mano che fai non ti muovi al ritmo?

giovedì 7 giugno 2012

IL MONDO NUOVO ( ASPETTANDO IL 3D )

COSMOPOLIS – 2012, 108’. Regia di David Cronenberg.
Beh, sarebbe da rivederlo per capirlo meglio, per riascoltare alcuni dialoghi, e tutto sommato perché un suo fascino ce l’ha eccome. L’impressione è che forse sia dovuto alla situazione narrata più che alla sua riuscita, ma poi non è detto che sia così importante. Un giovane ricchissimo ( società finanziaria ) e ossessionato dal controllo, delle informazioni, del suo corpo, si sposta praticamente sempre all’interno di una limousine insonorizzata e blindata in una giornata che vorrebbe essere cruciale per le sorti del mondo, c’è infatti una manifestazione contro il capitalismo, c’è il presidente in pericolo, ci sono attentati a membri delle organizzazioni monetarie; ma è solo un’altra giornata. Tutto ciò diventa lo spunto per parlare di una società votata all’insensatezza, rappresentata dal protagonista. Ora, io onestamente di questi discorsi comincio un po’ a rompermi. Nel senso che da una parte ci sono i problemi che scaturiscono da questo modello economico e sono concreti e andrebbero analizzati con cura; dall’altra ci sono le possibili satire o analisi sulla società che vorrei fossero presi più seriamente. Perché io non vedo la connessione tra l’idea ad esempio che le transazioni finanziarie sono prive di una logica accettabile e hanno il potere di determinare la povertà o la ricchezza di troppa gente e l’idea che questo porti ad una società privata di significati ed emozioni, disciolta in serie di bit, rappresentata nel suo culmine edonista da un giovanotto come quello del film. Oppure tra l’idea che la frammentazione e l’organizzazione temporale abbia inciso a tal punto sulla società ( un mio amico mi ha suggerito che il fatto che le persone possano vivere in una nazione in cui vige la stessa ora per tutti è alla base del concetto di comunità immaginaria propria del nazionalismo, per cui anche se in realtà le persone non si conoscono effettivamente tutte fra di loro, possono ugualmente sentirsi parte di una comunità attraverso vari simboli e grazie anche ad un tempo uguale per tutti, laddove magari per la società contadina, la simultaneità veniva esperita solo nei tempi di lavoro, scanditi piuttosto dalla natura ) e quello che avviene sullo schermo. Il protagonista è un rappresentante del capitalismo? No, è un beneficiario. E di per sé non dice nulla sullo stato delle cose. Però è affascinante, perché è ben recitato, e perché fa cose affascinanti. Non credo che possa dire nulla su di noi. Mi pare insomma di aver visto un’opera confusa, che pesca da situazioni esistenti e in corso di dibattito per tenere assieme il tutto. Per quanto poi devo ammettere che è un film che dà la possibilità di ragionare in molte direzioni. Ad esempio mentre lo vedevo, ascoltando il protagonista che parlava del bisogno di scopare mi è venuto in mente il finale di Eyes Wide Shut, solo che quest’ultimo è un film che oltre ad una solida base psicologica restituisce con le immagini e con i suoni qualcosa di grandioso e allo stesso tempo di vero. Cosmopolis risulta oppresso in qualche modo, con un continuo sentore di qualcosa di brutto che deve accadere ma con troppi tempi morti, ma forse è proprio questo ciò che vuole esprimere. Persone che parlano fra di loro senza davvero dirsi nulla. Che è però ciò che non sopporto di un’opera che vuole analizzare la società o comunque farne delle fotografie. Come nella scena di un rave messo in atto in un teatro, per parlare della sofferenza dei giovani, così belli mentre danzano eppure fatti di qualsiasi cosa. Che vuol dire? A parte il fatto che la maggior parte dei giovani di un certo mondo non si droga e vive come può, soffrendo a volte e gioendo altre. Tutto per un taglio di capelli, simmetria-asimmetria, flusso finanziario che non risponde ad antiche idee, nessuna armonia, perdita di senso, violenza improvvisa. Ecco, mi ha lasciato indifferente. O forse ci ripenso e cancello tutto. Per concludere, direi che è da vedere e che non mi sento propriamente a mio agio ( e in grado ) nello scriverci su dopo una sola visione e considerando la vastità di ciò di cui vorrei provare a scrivere.