lunedì 28 gennaio 2013

domenica 27 gennaio 2013

PRESI ALLA POLVERE

“Bisogna saper ricominciare dal fondo. Senza niente. Senza una carta da giocare, senza un’arma, senza una proprietà, senza un diritto, senza dignità.
-         Come un cane.
-         Sì, come un cane.”

Vergogna di J.M.Coetzee è un romanzo duro, che mi è rimasto impresso e che ho voluto rileggere, in cui nulla di quanto succede è ciò che si vorrebbe. Ambientato in Sud Africa, è un romanzo che trasmette anche un sentimento negativo nei confronti degli uomini, dei maschi. La situazione insostenibile per il protagonista, un professore di mezza età cacciato dall’università per una relazione con una studentessa, che si rifugia dalla figlia in campagna, è quella non solo di assistere impotente allo stupro di lei da parte di tre uomini, ma di vederla imprigionata per sua scelta in una vita di dipendenza dalla stessa gente che la circonda. Protezione in cambio di terra e di acquiescenza. Mentre i sentimenti e i pensieri di David, il padre, sono chiari per tutta la storia, ciò che prova Lucy mi è oscuro, e così immagino per qualsiasi lettore, perché c’è un ovvio limite ad una esperienza che per mia fortuna mi è quasi impossibile pensare di poter vivere. Così come ci può apparire impossibile che Lucy voglia ancora restare in quel posto, una scelta che fa quasi rabbia, una rabbia prevaricatrice che dà quella sensazione spiacevole di quando si crede di sapere cosa è bene per gli altri. Ne è stato tratto un film, con John Malkovich, Disgrace, come da titolo originale.

mercoledì 23 gennaio 2013

IL MONDO NUOVO

Quella casa nel bosco – 2011, 95’. Regia di Drew Goddard.
Oscilla tra la figata e il niente di che, tra il voler fare sul serio o per finta, tra il voler divertire e il voler spaventare, in un continuo inseguirsi di queste due intenzioni che ne fanno forse il limite maggiore, nel senso che sì, è divertente, ma all’ennesima citazione e all’ennesima allusione, oltretutto a film come La Casa e Funny Games, che già di loro smontavano il genere, il gioco mostra la corda e si ha bisogno di vedere un solo film, non anche il suo riflesso; e appunto che la parte paurosa non incide granché. Meglio la parte avventurosa splatter, con una royal rumble cinematografica finale che è da pop-corn affogati in vari liquidi gassosi e non, ben disposti su qualsiasi superficie morbida.
Poi  si può guardare un vecchio film del genere, io ho optato proprio per La Casa ( Evil dead, del 1981 ), che sa ancora il fatto suo.

lunedì 21 gennaio 2013

IL MONDO NUOVO









‘ndate a vedere il nuovo Tarantino al cinema che è la spacconata di uno spaccone poi tornate a casa e spolverate le Colt e in sella al primo ronzino che vi capita sotto mano via alla volta della frontiera in cerca di guai.

Tarantino prosegue dopo Bastardi senza gloria con gli sfondi storici e vergognosi, stavolta guardando in casa propria, pure se in fin dei conti la casa è di tutti. E uno pensa “eh certo Tarantino, caruccio, divertente, demenziale, però leggerino”. E invece no, nel suo frullatore visivo e verbale spuntano certi particolari che ti fanno apprezzare la curiosità. La storia in breve è quella di un cacciatore di taglie che libera uno schiavo e lo aiuta ad andare in cerca della moglie schiava anch’essa da qualche parte nel Mississippi durante il 1858, anni in cui i giudici dell’epoca dibattevano se la costituzione americana comprendesse i neri liberati oppure no. Il cacciatore di taglie compare in scena su un carretto fingendo di essere un dentista, e nel film qua e là ci sono particolari sui denti dei vari personaggi. Tutte dentature malmesse. E come comincia Robert Darnton per parlare dell’Illuminismo? Parlando della dentiera di George Washington! Maniacalità a parte, c’è un sacco di roba strabiliante per gli occhi e smottante per l’animo, perché certo si ride e si spara però poi Tarantino piazza i suoi colpi duri facendoli mal digerire ai protagonisti e agli spettatori.


mercoledì 16 gennaio 2013

PRESI ALLA POLVERE



"I diplomatici di questo e di altri Paesi che provavano una certa apprensione quando vedevano avvicinarsi loro nei corridoi delle Nazioni Unite la figura leggermente curva dle dottor Raphael Lemkin non dovranno più essere in ansia. Non dovranno inventare spiegazioni per una mancata ratifica della convenzione sul genocidio alla quale il dottor Lemkin lavorava in modo così paziente e disinteressato da quindici anni. Morte in azione era il suo argomento finale - una parola finale per il nostro dipartimento di Stato, che ha temuto che un accordo per non uccidere violasse la nostra sovranità."

"Lemkin aveva coniato la parola <<genocidio>>. Aveva contribuito a redigere un trattato concepito per metterlo al bando. E aveva visto la legge respinta dall nazione più potente del mondo. Al suo funerale parteciparono sette persone."

"Tra i cento e passa trattati ci sono una Convenzione sul tonno con il Costarica, un ponte sul Rainy River, una Convenzione sull'halibut con il Canada, una Convenzione sul traffico stradale che consente agli automobilisti con patente americana di guidare sulle strade europee, una Convenzione sui gamberi con Cuba, un trattato di amicizia con il sultanato di Mascate e Oman, e persino un trattato quanto mai colorito e stuzzicante intitolato <<Protocollo del salmone rosa>>. Io non voglio insinuare che nessuno di questi trattati avrebbe dovuto essere ratificato. Ma ognuno di essi ha come obiettivo la promozione del profitto o del piacere."

sabato 12 gennaio 2013

...

Il genocidio avvenuto nel Rwanda è un fatto che mi ha spinto a leggere vari libri, a fare piccole ricerche sul web per vedere in che modo se ne è parlato. Ci sono resoconti documentaristici, di cronaca e ci sono anche romanzi, testimonianze, quelle delle vittime e quelle dei carnefici. Poi c'è il ruolo di chi osservava, l'Occidente per così dire. La domanda di fondo è sempre "perché?", ma come è impossibile rispondervi, si può rispondere all'altra domanda, ovvero "come?". Io sono sicuro nella mia tiepida casa e a volte mi chiedo perché mi interesso a certi orrori. Non è così importante in fondo. Metto alcuni link per chi vorrà fare una propria ricerca.

Un articolo di Andrea Inglese che fornisce una buona bibliografia e offre una riflessione sul dovere di conoscenza proprio di ogni cittadino.

Un sito in cui troverete interviste a scrittori e analisi di opere letterarie in tema.

Un'intervista a Daniele Scaglione, autore di un saggio.

Un documentario e un film, Hotel Rwanda, che ancora non ho visti, ma che consiglio comunque.


mercoledì 9 gennaio 2013

Sturm und drang, sein und zeit, prosit!


La notte di Capodanno l’ho finita incazzato nero per non aver trovato nessuno con cui fare a botte. Cercavo qualcuno che difendesse Heidegger, il filosofo, non importa se questo ipotetico qualcuno lo conoscesse appena, bastava fare a botte, io avrei smerdato il filosofo e al minimo segno di disaccordo mi sarei avventato contro. A un certo punto bastava pure un altro motivo, però niente.
Era cominciata bene intendiamoci, una cenetta con pochi amici, della musica, un po’ di fumo, un po’ di sniffate. E non lo dico per fare scena, per fare il trasgressivo, il passo più trasgressivo è stato assaggiare il salmone affumicato, per me che sono vegetariano e che non lo avevo mai mangiato. Non m’è piaciuto fino in fondo. Era continuata meglio, al bar di un locale mi arriva una tizia allegra e carina in vari modi e punti, con alcuni tatuaggi, uno sul dito indice con scritto shhh!; rock & roll scritto sul polso; insomma niente male, niente male davvero. Mi dice – che fai, bevi da solo? – e poi – mi piaci tanto, si vede proprio che sei un bravo ragazzo, però sei troppo insicuro. Sì, ce l’ho stampato in fronte che sono un bravo ragazzo, oppure ci vede male, però resto un bravo ragazzo, radiografato in tre secondi da una tizia ubriaca che mi prende in giro, mi racconta la sua vita, poi mi prende la mano e mi porta a spasso a cercare i suoi zii, mi prende sottobraccio e mi porta a pensare a una serie di ipotesi, a come raggiungere “l’autenticità assumendo esplicitamente il proprio essere per la morte”; al “rapporto privilegiato che ha l’essere con l’essere dell’esserci, cioè con l’esistente”; al linguaggio che è “la casa dell’essere”. E poi mi offro di accompagnarla a casa, ma non si fida mica, mi chiede il contatto facebook, - non ce l’ho le dico. Che non è vero, ce l’ho con uno pseudonimo, va beh una cosa da scemi in fondo, da paranoici magari, mica che non glielo volessi dare, però in quel momento ho detto no. Poi mi saluta e se ne va con gli zii. Ma come? E Heidegger? E l’ermeneutica? E l’esistenzialismo?

Note al testo: le citazioni provengono da un testo di Gianni Vattimo uscito per una collana de La Repubblica. Io Heidegger non l’ho mai letto e ho fatto a botte un paio di volte da ragazzino, una volta e mezzo via.


martedì 8 gennaio 2013

Messaggio ai postumi



“Come penetrare nell’intimo della gente? Era una dote o una capacità che non possedeva. Non aveva, semplicemente, la combinazione di quella serratura. Prendeva per buono chi lanciava i segnali della bontà. Prendeva per leale chi lanciava i segnali della lealtà. Prendeva per intelligente chi lanciava i segnali dell’intelligenza. E fino a quel momento non era riuscito a vedere dentro sua figlia, non era riuscito a vedere dentro sua moglie, non era riuscito a vedere dentro la sua unica amante: forse non aveva neppure cominciato a vedere dentro di sé. Cos’era, lui, spogliato di tutti i segnali che lanciava?”

Pastorale americanaPhilip Roth

“Se l’identità che noi diciamo di essere non può catturarci una volta per tutte, e allude immediatamente a un eccesso e a un’opacità che fuoriescono dalle categorie dell’identità stessa, allora ogni tentativo di “dar conto di sé”, dovrà necessariamente fallire per avvicinarsi a una qualche verità. Nella misura in cui chiediamo di conoscere l’altro, o chiediamo che l’altro dica, una volta per tutte e in modo definitivo, chi lui o lei sia, sarà necessario non aspettarsi una risposta che possa davvero soddisfarci. Solo non aspirando a tutti i costi a una risposta esaustiva, e lasciando che la domanda resti aperta, che addirittura continui a insistere, noi lasceremo davvero vivere l’altro – dal momento che la vita può essere intesa proprio come ciò che eccede ogni tentativo di dar conto di essa. Se lasciar vivere l’altro è parte essenziale di ogni definizione etica del riconoscimento, allora questa versione del riconoscimento si fonderà meno sulla conoscenza che sulla percezione e l’assunzione consapevole di certi limiti epistemici, di certe pretese di verità.
In un certo senso, come suggerisce Cavarero, il “vero” atteggiamento etico consiste nel porsi la domanda “Chi sei tu?” e nel continuare a domandarselo senza mai aspettarsi una risposta piena e definitiva. L’altro a cui pongo la domanda non sarà mai completamente catturato da una risposta che possa soddisfarlo del tutto. così, se nella domanda vi è un desiderio di riconoscimento, questo desiderio sarà sempre obbligato a tenersi vivo come desiderio, a non risolversi mai in qualcosa di soddisfatto. “Oh, ora finalmente so chi sei”: nel momento stesso in cui pronuncio queste parole io cesso di rivolgermi a te, o di essere interpellata da te.”

Critica della violenza eticaJudith Butler

“Eppure suo padre continuava a passare i giorni e notti cercando di convincersi che non esistevano altre spiegazioni, che non le era mai successo nient’altro di sufficientemente orribile, nulla che fosse, anche lontanamente, abbastanza grande o abbastanza sconvolgente da spiegare perché sua figlia potesse diventare terrorista.”

Pastorale americana

L’accenno a Pastorale americana è contenuto nella prefazione a Una tragedia negata di Demetrio Paolin, prefazione di Filippo La Porta. Nella narrativa italiana che parla degli “anni di piombo” mancherebbe una figura tragica come quella di Merry, giovanissima terrorista e martire, scheggia rivelatrice di un crollo. Paolin esamina molte opere letterarie che trattano appunto gli anni ’70, opere spesso uscite nell’ultimo decennio. Opere che in generale non vanno fino in fondo, si ritraggono a un passo dal tragico. Non so fino a che punto Pastorale americana sia tragico, probabilmente lo è nell’esasperazione del protagonista, un uomo perfetto che non può far altro che chiedersi perché, per un dolore incomprensibile, per una follia incomprensibile. Poi nel romanzo c’è questa idea di mondo che va in pezzi, di morale svanita ( in fondo è un romanzo che arriva a fine Novecento ), resa nella scena della cena, la famiglia e gli amici di famiglia, i tradimenti incrociati, la discussione sul film Gola Profonda, il degrado urbano, cose così. Curiosamente in questi giorni al cinema c’è un film di Robert Redford, La regola del silenzio, che parla proprio dei Wheatermen, il gruppo terroristico che agiva negli USA. Il film non vale il cinema, ma a parte una certa prevedibilità e fiacchezza non è male. Uno spunto più che altro. Tutto questo per arrivare al Rwanda ( io non lo so se me ne fotto del Rwanda, ma effettivamente pur trovandomi ridicolo nel dirlo continuo a credere negli altri, pure senza aspettarmi chissaché ), alla cronaca di quello che fu scritta da Daniele Scaglione nel suo saggio Istruzioni per un genocidio.
Fra un po’ sarà la giornata della memoria per ricordare le vittime del nazifascismo e insomma il senso è: mai più! Poi la vita e la storia continuano e sappiamo che questo mai più è ben lontano dall’essere realizzato. Qui dovrebbe partire un lungo pippone sul senso dell’informazione, sull’apprendere e raccontare agli altri quello che abbiamo appreso, sul fatto che forse dei passi avanti li abbiamo fatti ( noi chi? Certo ) oppure che vedere un percorso è già sbagliato. Non c’è bisogno del pippone, al di là della piccola vanità di unirsi al coro generale della produzione di contenuti nella rete, immagino che alla fine un senso possa stare nella condivisione. Confusione personale a parte.